sabato 30 maggio 2015

SCANDALOSI LEGAMI - NONA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Andrea era senza fiato. Il corpo di Diana giaceva nudo sul divano, in tutto il suo splendore. Dio, sembrava fresca e succosa come una pesca matura, tutta da mordere. Il cuore gli batteva all’impazzata e il sangue gli scorreva più veloce nelle vene, affluendo al basso ventre.
     Doveva possederla. A ogni costo.
     Emise un basso ringhio, chinandosi su uno dei suoi seni deliziosi per lambirlo con la lingua. Il profumo del suo bagnoschiuma lo faceva impazzire. O forse era l’odore della sua pelle? Intimo e discreto come un campo fiorito.
     Lei si protese verso di lui, presumibilmente desiderosa di qualcosa di più. Oh, lo avrebbe avuto. Ma non subito. Prima l’avrebbe fatta impazzire, in modo che nella sua mente non restasse altro che lui. Voleva ridurre in brandelli anche le sue ultime difese.
     – Calma… – le sussurrò, succhiandole il capezzolo. – Lasciami assaporare ogni centimetro del tuo corpo.
     Diana mugolò qualcosa di incomprensibile, ma lui non vi prestò attenzione. Era troppo concentrato su di lei. Aveva dei seni grandi e sodi, estremamente morbidi al tatto. Era difficile trovare donne che non fossero ossessionate dai chili di troppo, nel suo ambiente. Finora aveva frequentato solo modelle pelle e ossa o attrici con le tette rifatte, ed  accarezzare Diana era un’esperienza nuova, inebriante.
      Si impadronì delle sue labbra, baciandola avido e insinuandole una mano tra le cosce. Voleva sentire se era morbida e burrosa anche lì. Cristo, la sua pelle scottava e in quel punto era umida e scivolosa. Pronta per lui.
     Deglutì. – Cristo santo, Diana… mi stai uccidendo.
     Le infilò un dito dentro, cominciando a muoverlo. In risposta, lei si dimenò sul divano. Aveva la testa reclinata all’indietro, gli occhi chiusi e le labbra lievemente aperte. Ansimava come un mantice. Dio, mio… Diana faceva l’amore come se fosse in astinenza da mesi. Non aveva mai incontrato una donna più ricettiva e vogliosa.
     Andrea mosse il dito più veloce. Dentro e fuori. Aveva la fronte sudata, per la voglia di immergersi nel suo calore, ma prima voleva farla venire. Cielo, guardarla godere era un’esperienza unica.
     A un tratto lei cominciò a gemere forte, i muscoli interni della fica che si contraevano intorno al suo dito. Andrea rimase a fissarla fino all’ultimo tremito, poi si staccò, mordendole delicatamente il labbro. – Ti voglio – sussurrò con voce roca. – Adesso.
     Sbottonò i calzoni ed era sul punto di tirarsi giù la zip, quando il suo cellulare cominciò a vibrare nella tasca. Per un istante fu tentato di ignorarlo, ma poteva trattarsi di un’emergenza. Imprecando sottovoce, lo afferrò per controllare il display. Era il numero di Viola. Col fiato corto, rispose al terzo squillo. – Viola? Che c’è?
     – Papà, mi passi a prendere? Ho avuto un incidente col motorino.




* * *

Diana stentava a crederci. Quello era stato l’orgasmo migliore di tutta la sua vita. Non che ne avesse avuti molti, del resto. Le sue relazioni sentimentali erano sempre state brevi e potevano contarsi sulle dita di una mano. Inoltre, i pochi uomini che aveva avuto non possedevano né il fascino né l’abilità di Andrea Sartori.
     Cielo, se lui non avesse ricevuto la telefonata di Viola probabilmente gli avrebbe permesso di scoparla senza pietà, su quello stesso divano!
     Si passò una mano fra i capelli ancora umidi, quasi incredula di ciò che aveva appena fatto. Tremava ancora per l’eccitazione e la vagina le pulsava fra le gambe, per la voglia che aveva di sentirlo dentro.
     Si riavvolse nell’accappatoio di spugna e si alzò barcollando, la testa lievemente confusa. Doveva riacquistare il controllo di sé, immediatamente. Non poteva lasciare che quell’uomo le sconvolgesse la vita e l’unica cosa che contasse davvero per lei: il proprio lavoro. Se a scuola avessero saputo delle libertà che si era presa col padre di Viola… non osava neppure pensare a una simile eventualità.
     Si trascinò fino alla camera da letto dove si liberò dell’accappatoio, per indossare una vecchia tuta. Le tremavano anche le mani, dannazione!
     All’improvviso il pensiero andò a Viola e al suo incidente. Si augurava che non si fosse fatta nulla di grave. Come sua insegnante non poteva evitare di preoccuparsi per lei. Forse avrebbe dovuto chiamare Sartori per avere sue notizie?
     Ma cosa diavolo andava a pensare? Quelle erano solo scuse. In realtà aveva voglia di sentire la sua voce. No, non andava affatto bene. Doveva togliersi quell’uomo dalla testa. Subito.
     Il suono del telefono la fece trasalire. Sollevò la cornetta col cuore che le martellava nel petto, ma non fu la voce di Andrea che le tuonò nelle orecchie, bensì quella di Giorgia, la sua collega di matematica. – Diana, hai programmi per questa sera?
     Sospirò, nel vano tentativo di darsi una calmata. Giorgia era la sua unica, vera amica. Viveva una relazione sentimentale un po’ complicata e, quando aveva voglia di sfogarsi con qualcuno, le proponeva un’uscita a due. – Hai litigato di nuovo con Fulvio? – le chiese, sbuffando un poco. In realtà era contenta di sentirla. Aveva bisogno di un diversivo.
     Dall’altro capo del filo, Giorgia emise un mugolio strozzato. – Mi ha lasciata. Questa volta temo che sia per sempre.
     Quello era uno dei motivi per cui aveva deciso di fare a meno degli uomini: troppo inaffidabili. E fino a quel momento le era andata bene così. Se solo Sartori non si fosse messo in testa di scombinarle l’esistenza! – Coraggio, racconta – disse, lasciandosi cadere sul letto e predisponendosi all’ascolto. Probabilmente lo sfogo di Giorgia le avrebbe fatto bene, ricordandole tutti i buoni motivi per cui era meglio non lasciarsi coinvolgere in una relazione, specie con un uomo come Andrea Sartori.




* * *

La sala del Pronto Soccorso era decisamente affollata. Andrea scorse la figlia con la coda dell’occhio: era seduta su una sedia, i pantaloni strappati e un enorme cerotto all’altezza dello zigomo destro.
     – Cristo, Viola… – l’apostrofò avvicinandosi, la mente piena di pensieri confusi. – Cosa diavolo hai combinato, stavolta?
     Lei sollevò su di lui uno sguardo colpevole. Era pallida, ma non sembrava riportare gravi contusioni. – Sono scivolata su una macchia d’olio. Temo che il mio motorino sia da buttare.
     – Chi se ne frega del motorino! Tu come stai?
     Viola si alzò. – Bene. Avevo solo un graffio qui, sotto l’occhio, ma non è nulla di serio. Ah, mi sono anche sbucciata un ginocchio. Dovrò comprarmi un paio di pantaloni nuovi.
     Andrea cercò di contenere l’irritazione. Quando aveva ricevuto la chiamata di Viola gli era quasi preso un infarto. Aveva lasciato l’appartamento di Diana in fretta e furia, per precipitarsi al Pronto Soccorso; eppure tutto ciò di cui sembrava preoccuparsi sua figlia erano un motorino e un paio di pantaloni da buttare. Tutto sommato, lei sembrava essere in ottima forma. Aveva gli occhi che le brillavano e teneva stretto fra le mani un libro consunto, quasi fosse un tesoro.
     – E quello? – le chiese con una punta di curiosità.
     La sua domanda la fece arrossire. Balbettò qualcosa di incoerente, prima di aggiungere: – È il testo della tragedia di Romeo e Giulietta. Una cosa per la scuola. Me lo ha prestato il prof di inglese.
     Andrea annuì, prendendola sotto braccio. – Vieni, ti riaccompagno a casa. Mi hai fatto prendere un bello spavento, lo sai?
     Senza contare che, a causa sua, aveva dovuto interrompere quello che prospettava essere il miglior amplesso della sua vita. Dio, Diana lo aveva fatto letteralmente impazzire. Cercò di scrollarsi di dosso la frustrazione e rallentò il passo. Viola zoppicava appena. – Quante volte ti ho detto di fare attenzione quando prendi il motorino? – borbottò, avviandosi verso l’uscita. Odiava gli ospedali e quell’odore di disinfettante. Molto meglio il profumo della pelle di Diana, appena uscita dalla doccia. Quel pensiero bastò a fargli tornare l’eccitazione. Doveva a tutti i costi fare qualcosa. Non poteva andare avanti così, continuando a desiderare quella donna. Eppure, per la prima volta in vita sua, non sapeva come comportarsi. Diana era diversa dalle altre. Invece di buttarsi fra le sue braccia come facevano tutte, sembrava combattuta. Sospettava che non sarebbe stato facile portarsela a letto, non dopo che l’aveva piantata in asso sul più bello.
     Sbuffò appena. – Sei una piantagrane, Viola. Lo sai, vero?
     Sua figlia abbozzò un sorrisino. – Ho interrotto qualcosa di importante?
     Col cavolo che le avrebbe raccontato di Diana! Si grattò la punta del naso, scattando verso l’auto parcheggiata in doppia fila. – Solo una noiosissima riunione di lavoro.
     – Be’, allora dovresti essermi grato! Che ne dici di festeggiare con pizza e patatine fritte?
     Andrea era perplesso. Aveva appena avuto un incidente col motorino e pensava a festeggiare? A sua figlia stava succedendo qualcosa, anche se non gli era esattamente chiaro che cosa.

     Ma con l’aiuto di Diana lo avrebbe scoperto.


venerdì 22 maggio 2015

SCANDALOSI LEGAMI - OTTAVA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Diana andò ad aprire la porta, stringendosi nel suo accappatoio di spugna. Era appena uscita dalla doccia e aveva ancora i capelli bagnati che gocciolavano sul pavimento. Si chiese chi potesse essere, dal momento che non riceveva mai visite il sabato pomeriggio. In realtà non aveva molti amici. Conduceva quella che poteva definirsi una vita piuttosto solitaria.
     Con sua enorme sorpresa si ritrovò a fissare gli occhi azzurri e irriverenti di Sartori. Erano fissi su di lei e sembravano volerla divorare. Deglutì. – Ehm, signor Sartori… che ci fa qui? È successo qualcosa a Viola?
     Lui inarcò un sopracciglio e si intrufolò all’interno del suo appartamento. – Non avevamo deciso che mi avresti chiamato Andrea? Comunque Viola sta benissimo. Sono venuto per vedere te.
     Ebbe l’impressione che il cuore le si fermasse. – Per vedere me?
     Andrea si voltò a guardarla, gli occhi che sembravano bruciare. Teneva i pugni serrati, come se facesse fatica a controllarsi. – È dall’altra sera che non riesco a smettere di pensarti. Il bacio che ci siamo scambiati… – si interruppe, scuotendo il capo come per schiarirsi le idee. – È stata la cosa più sconvolgente che abbia mai provato. Io ti desidero, Diana. Alla follia.
     Era sbalordita. Mai nessuno, prima d’ora, le aveva parlato in quel modo. –  È uno scherzo? – La voce le uscì lievemente tremula, ma non le importò. Cielo, quell’uomo aveva il potere di confonderla ed elettrizzarla allo stesso tempo.
     Andrea aggrottò la fronte e fece un passo verso di lei. – Ti sembra che abbia voglia di scherzare in questo frangente? Cazzo, Diana. Ho un’erezione in corso da giorni, ormai. E sembra che solo tu sia in grado di darmi sollievo. Credimi, ho provato a frequentare altre donne e non è servito a nulla. Non sono riuscito a placare la fame che mi divora.
     Le veniva quasi da ridere. Non poteva certo essere vero. Lei non era il tipo di donna che suscitava negli uomini reazioni di quel tipo. Tanto per cominciare, non vantava affatto il fisico della modella. Aveva i fianchi larghi, decisamente troppo abbondanti. E col viso struccato e i capelli bagnati che le si appiccicavano al viso, era ben lontana dall'incarnare l'ideale di donna di chicchessia. Ma invece di fargli notare il proprio scetticismo, si limitò a dire: – Sono l’insegnante di tua figlia, lo hai dimenticato? Non posso proprio avere una relazione con te.



     Lui accorciò la distanza che li separava. Poi, prima che potesse rendersene conto, le passò una mano attorno alla vita, attirandola a sé. Avvicinò la testa alla sua, il respiro veloce, quasi affannoso. Diana si ritrovò premuta contro il suo petto muscoloso e perse ogni cognizione del tempo e dello spazio. – Andrea, non possiamo… – bisbigliò, ma con poca convinzione.
     – Shh… non pensare, Diana. Lasciati andare.
     Si impossessò della sua bocca, prendendole il labbro inferiore fra i denti e accarezzandolo con la punta della lingua. Diana si sentì sciogliere e un intero esercito di farfalle cominciò a danzarle nello stomaco. Poi Andrea le diede un piccolo morso di incoraggiamento e l’ultima volontà di resistergli si sciolse come neve al sole. Dischiuse le labbra e si lasciò andare, accogliendo quel bacio con tutto il trasporto di cui era capace.
     La bocca vorace di Andrea si staccò appena dalla sua, per creare una scia incandescente dalla guancia, giù fino al collo. Diana non riusciva quasi a respirare. Era scossa da brividi in tutto il corpo e sentiva una dolce tensione nel basso ventre. Si protese verso di lui, strofinandosi contro la sua erezione granitica. Sembrava una gatta in calore, ma in quel momento proprio non riusciva a controllarsi. Non fu in grado di capire come, ma lui la sollevò, trascinandola attraverso il corridoio fino al divano del salotto, dove la lasciò cadere senza smettere di baciarla. Le aprì i lembi dell’accappatoio di spugna, gli occhi fissi sul suo corpo nudo, quasi volesse memorizzarne ogni curva e ogni avvallamento.
     Diana si morse il labbro per non tremare. – Cosa hai intenzione di fare?
     La sua risatina roca le giunse quasi inaspettata. – Lo vedrai – La voce di Andrea era profonda, ben modulata. Si inginocchiò davanti a lei, flettendo le gambe lunghe e muscolose, fasciate da un paio di calzoni di alta sartoria, e cominciò a sbottonarsi la camicia. Le dita si muovevano veloci, rivelando un torace ampio, senza un filo di grasso. Mentre si spogliava, le lanciò un’occhiata intensa e provocante. Poi lasciò cadere la camicia sul pavimento, negli occhi uno sguardo di sfida.

     E, a quel punto, ogni resistenza cadde. 


venerdì 15 maggio 2015

SCANDALOSI LEGAMI - SETTIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Jacopo reclinò la testa di lato, studiando il profilo di Viola. Aveva i lunghi capelli, color biondo miele, raccolti in una coda. Il viso era pulito. Senza un filo di trucco, ma perfetto nella sua semplicità. Gli occhi poi possedevano un’ingenuità e un’innocenza che arrivavano dritto al cuore e che lo avevano colpito fin dalla prima volta che l’aveva vista.
     Non avrebbe dovuto provare attrazione per una sua allieva.
     Cazzo, aveva solo diciotto anni!
     Eppure non poteva evitare di sentirsi affascinato da lei, dal suo sorriso spontaneo e da quelle  guance di un rosso acceso. La pelle invece era diafana, delicata, e fu solo grazie a un ferreo esercizio di volontà che riuscì a non cedere alla tentazione di allungare una mano per toccarla.



     Si schiarì la voce e sorseggiò un po’ della sua cioccolata calda. – Pensavo di assegnare a te la parte di Giulietta – disse, osservandola mentre rigirava il cucchiaino nella tazza. Pareva nervosa e un po’ intimidita. Possibile che avesse soggezione di lui?
     Viola si morse il labbro. – E chi dovrebbe fare Romeo?
     – Che ne dici di Stefano Scarpati?
     Lei fece una smorfia. – Scarpati?
     – Non sembri molto convinta. Cos’ha Scarpati che non va? Mi sembra un bel ragazzo – Le strizzò l’occhio, senza distogliere lo sguardo dal suo viso perfetto. Per un attimo si sentì un idiota. Davvero era così interessato a conoscere la sua opinione sul belloccio della classe? Oddio, stava diventando patetico.
     Viola si strinse nelle spalle. – Sì, ma è anche terribilmente arrogante e dispotico. E la sua pronuncia inglese è orribile.
     – Hai ragione. Però può essere un’ottima occasione per migliorarla. Ha ottime capacità mnemoniche e per lui non sarà difficile imparare la parte. Deve solo lavorare un po’ di più sulla pronuncia.
     Si portò nuovamente la tazza alle labbra, mentre Viola continuava a giocare con il cucchiaino. Non aveva ancora bevuto un sorso della sua cioccolata e decise di farglielo notare. – Se aspetti ancora un po’ diventerà fredda.
     – Cosa?
     Jacopo ridacchiò. – Mi riferivo alla cioccolata.
     A quel punto il suo viso divenne dello stesso colore del suo cappotto. Le reazioni di Viola lo divertivano. Per un attimo si ritrovò a fissarle le labbra, colto da un urgente desiderio di baciarla. Per fortuna resistette alla tentazione. Sarebbe stata una pessima idea, date le circostanze.
     Cazzo, Jacopo. Ricordati che è una tua allieva.
     Viola sembrò risvegliarsi dal suo stato di trance e bevve la sua bevanda calda fino all’ultima goccia. Quando posò la tazza sul tavolino aveva una macchia di cioccolato, proprio sotto al naso. Sorridendo, Jacopo gliela indicò. – Ti sei sporcata in quel punto.
     Lei parve imbarazzatissima. – Dove?
     – Sopra il labbro.
     Cercò di ripulirsi, ma non ebbe fortuna. Senza riflettere, Jacopo afferrò un tovagliolino di carta e si protese verso di lei per aiutarla. I loro visi si ritrovarono così vicini da essere quasi sul punto di sfiorarsi. A quella distanza riusciva a percepire il suo profumo, un vago aroma di talco e vaniglia che su di lui ebbe un effetto devastante. Era buonissimo. Il fiato gli si mozzò in gola. Si sentiva accaldato, come se avesse la febbre, ed era pervaso da una smania che non aveva mai provato in vita sua.
     Controllati, Jacopo. Controllati.
     Si allontanò da lei con un balzo repentino e quasi fece rovesciare la propria tazza sul tavolo. Notò che anche Viola era turbata: il suo petto si alzava e abbassava a un ritmo accelerato, mentre la vena sul collo le pulsava. – Forse è meglio uscire a prendere una boccata d’aria – disse, afferrando la giacca e infilandosela alla svelta. – Qui la temperatura si è surriscaldata.
     La vide sbattere forte le lunghe ciglia bionde e poi annuire senza proferire parola.

     Non c’era nulla da dire, dopotutto.


venerdì 8 maggio 2015

SCANDALOSI LEGAMI - SESTA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Quando le sue labbra calarono lentamente su di lei ebbe un fremito inaspettato. Chiuse gli occhi mentre percepiva il contatto con quella bocca carnosa. Andrea aveva labbra morbide e seducenti. Labbra tali da far impazzire una donna. Diana accolse quel bacio come se fosse in trance, le membra intorpidite e lo stomaco in subbuglio. Fu un contatto lieve, appena accennato, ma bastò a scatenarle dentro una tempesta ormonale di rara intensità, quasi fosse un’adolescente al primo bacio.
     Le girava anche un po’ la testa.
     Trattenne il fiato, mentre Sartori apriva piano la bocca, lasciando scorrere la lingua sulle sue labbra chiuse per indurla ad aprirle. Un invito che non potè rifiutare. Quale donna sana di mente lo avrebbe fatto? Il bacio si intensificò. Divenne un groviglio di lingue e di saliva, decisamente divino.
     Quindi lui si staccò all’improvviso. Diana riaprì gli occhi e si avvide che Sartori non aveva distolto lo sguardo da lei un solo istante.
     – Buona notte, Diana – alitò, le labbra ancora così vicine alle sue che poteva percepire il suo respiro, leggermente accelerato.
     Prima che lei riuscisse a formulare una frase coerente, si era già allontanato. Lo guardò risalire sulla sua auto sportiva e ripartire a grande velocità.
     Mamma mia!

     Quello sì che era stato un bacio. Suo malgrado non riuscì a evitare di chiedersi come sarebbe stato spingersi oltre, con un uomo così. Ma con ogni probabilità non l’avrebbe mai scoperto.


***

In quel sabato pomeriggio di fine novembre piazza San Carlo era incredibilmente affollata. Viola si strinse nel cappotto di lana rosso e si guardò intorno col cuore in gola. Non le sembrava vero che fossero passati cinque giorni da quando si era appartata col professor Torre, nel corridoio del secondo piano. Giorni interminabili, in cui non aveva fatto altro che desiderare di restare sola con lui, almeno un’altra volta. E adesso se ne stava lì, a passeggiare sotto i portici controllando  l’orologio ogni due minuti, in trepidante attesa. Se solo una settimana prima le avessero detto che avrebbe avuto un appuntamento con il suo insegnante d’inglese, si sarebbe messa a ridere. Be’, non che si trattasse di un veroappuntamento. Dovevano vedersi per parlare dello spettacolo di fine anno.
     Ma cosa si aspettava?
     Quella aveva tutta l’aria di essere una cotta e anche piuttosto seria. Si era presa una sbandata per il suo professore, il che era di per sé una cosa da sfigati. Nel novantanove per cento dei casi, quel genere di cose finivano in un mare di lacrime.
     Sospirò, sfregandosi le mani intirizzite, quando in fondo ai portici si materializzò l’oggetto dei suoi pensieri. Camminava adagio, le mani infilate nelle tasche dei jeans, che lo fasciavano come una seconda pelle, e gli occhi vigili, attenti.
     Viola agitò una mano, come se temesse di non essere vista in mezzo a tutta quella gente, ma lui l’aveva già notata e stava per affrettarsi nella sua direzione. – Forse incontrarsi qui non è stata una buona idea – disse, nel tentativo di calmare il battito impazzito del proprio cuore. – Di sabato pomeriggio il centro di Torino è un gran casino.
     Torre le dedicò un sorriso. – Già. L’ho notato. Vivo qui da tre mesi e ancora non mi sono abituato alla vita di città. Prima insegnavo in una scuola di campagna, nella provincia di Asti. Tutta un’altra cosa.
     Avvicinandosi le porse la mano, senza interrompere il contatto visivo. Viola gliela strinse e trasalì; per un istante ebbe l’impressione di essere fulminata da una scarica elettrica. Possibile che solo sfiorargli le dita le provocasse un’emozione tanto forte? Si domandò cosa sarebbe accaduto se lui l’avesse baciata, ma scacciò all’istante quel pensiero pericoloso.
     Lui continuava a sorriderle, chiuso in una giacca di pelle che gli stava da dio. – Mi sembri mezza congelata, dai che ti offro una cioccolata calda. Il Caffè Torino ne prepara una davvero ottima.
     Viola si ritrovò ad annuire come una deficiente, quasi le parole non volessero uscirle di bocca e fosse diventata improvvisamente muta. Il che non era del tutto inesatto. In presenza di quell’uomo si ritrovava col cervello disconnesso.
     Entrarono in quello che era uno dei locali storici della città e si sedettero a un tavolino un po’ appartato. Se dovevano parlare del loro progetto avevano bisogno di tranquillità, le aveva fatto notare lui. Oddio, le tremavano le ginocchia ed era un bene che avesse preso posto, altrimenti avrebbe rischiato di finire con il culo a terra.
     – Allora – cominciò Torre in un tono da confabulatore. – Avrei pensato di mettere in scena Romeo e Giulietta. Tu cosa ne pensi?
     Viola si sentì andare in fiamme. Odiava sentirsi così in imbarazzo; stava facendo la figura della stupida. – È un’ottima idea, professore. Romeo e Giulietta è la mia tragegia preferita.
     Lui rise piano. – Chiamami Jacopo, almeno quando non siamo in classe. Professore mi suona troppo pomposo e, se dobbiamo lavorare insieme, voglio che si crei fra noi un rapporto di confidenza e intesa reciproca.
     A Viola quasi cascò la mascella. Sembrava tutto irreale. Finora lo aveva chiamato per nome soltanto nei sogni. – Ehm, va bene Jacopo. Spero di non deludere la tua fiducia.
     – Non accadrà. Saremo una grande squadra tu ed io, ne sono certo.