sabato 27 giugno 2015

SCANDALOSI LEGAMI - TREDICESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Cosa le fosse saltato in mente di accettare l’invito di Andrea proprio non se lo seppe spiegare. Era per caso impazzita? Se salire sulla sua auto aveva decretato la sua resa incondizionata, cosa avrebbe fatto una volta sola con lui, nel suo appartamento?
     Diana si strofinò le mani sugli occhi, nel tentativo di scacciare l’ansia e la stanchezza, e andò in bagno, dove cominciò a spogliarsi lentamente. Si infilò sotto la doccia per lavare via dalla pelle l’odore di sesso e del costoso dopobarba di Andrea, che le era rimasto appiccicato addosso. Poi indossò un abito sobrio ma elegante e si infilò ai piedi un paio di sandali dal tacco alto. Se doveva recarsi nei quartieri alti, non voleva apparire come una sciattona. Allo stesso tempo, desiderava evitare di mostrarsi troppo sexy. Andrea avrebbe pensato che lo faceva per lui, invece l’unico motivo che l’aveva spinta ad accettare quell’invito era Viola.
     A chi vuoi darla a bere?
     Scacciò quella voce insistente all’interno della propria testa e si asciugò meticolosamente i capelli, per poi pettinarli con cura. Un tocco leggero di cipria sulle guance, un filo di rossetto ed era pronta. Per un attimo rimase a fissarsi nello specchio, combattuta tra il desiderio di rivedere Andrea e quello di fuggire il più lontano possibile da lui. L’orologio a pendolo nel salotto batté un colpo, scuotendola dalle proprie riflessioni. Fece un gran respiro e si decise a uscire di casa.
     Come al solito, le strade di Torino erano immerse nel caos. Diana rifletté sulla possibilità di prendere un taxi e poi farsi riaccompagnare a casa da Sartori, ma scacciò quell’idea troppo pericolosa e prese la propria auto: una cinquecento rosso fiammante.
     L’appartamento di Sartori si trovava a cinque minuti di automobile dalla piazza della Gran Madre, in un complesso residenziale immerso nel verde. Diana restò a bocca aperta mentre varcava l’enorme cancello e si immetteva in un viale alberato che conduceva alla palazzina. Lei non si sarebbe potuta permettere una simile abitazione neppure lavorando una vita. Oltrepassò un campo da tennis e posteggiò l’auto in un ampio parcheggio, giusto in tempo per veder arrivare Andrea, che per l’occasione aveva abbandonato l’abbigliamento formale in giacca e cravatta e indossava un semplice paio di jeans e una maglietta attillata. Era bello da mozzare il fiato.
     Diana scese dall’auto con le palpitazioni. – Allora? Vuoi dirmi che è successo a Viola?
     Lui si tolse gli occhiali da sole per fissarla con un’occhiata penetrante. – Non qui. Andiamo a parlare in piscina, lontano da orecchi indiscreti.
     In piscina? Diana deglutì. – Hai anche una piscina?
     Lui rise piano. – Non è mia. Appartiene al condominio, ma in questa stagione non c’è nessuno. È un posto piuttosto tranquillo per parlare. Sempre che tu non preferisca salire di sopra.
     Con la testa indicò l’ultimo piano della palazzina, dove presumibilmente si trovava il suo appartamento. Diana ebbe una visuale di una camera da letto in cui aleggiava il profumo di Sartori e dovette farsi aria con la mano. – La piscina andrà benissimo – rispose, un po’ troppo enfaticamente.
     Andrea rise di nuovo. – Tranquilla, non ho intenzione di sedurti. A meno che tu non lo voglia.
     – No, non lo voglio – Sollevò il mento con aria di sfida e si avviò dietro di lui, barcollando sui tacchi alti.
     Andrea sospirò, le mani infilate nelle tasche dei jeans e quell’aria squisita da cattivo ragazzo che tanto le piaceva. – Peccato. Ammetto che non mi sarebbe dispiaciuto toglierti quel delizioso vestitino e ammirarti nuda.



     Seccata, lei si lasciò sfuggire uno sbuffo. – Mi hai già vista nuda.
     – Ma non ti ho ammirata a sufficienza.
     Quell’uomo era decisamente snervante. Ma tanto, tanto sexy. Diana si morse la lingua per non rispondere a tono e disse solo: – Ricorda che sono qui per parlare di Viola.
     – Non l’ho dimenticato. A proposito… grazie.
     – Per cosa?
     – Per essere venuta.
     Lo disse in un modo talmente dolce che Diana sentì le farfalle alla bocca dello stomaco. Il che era un male. Ci mancava che si innamorasse di quell’uomo e tutta la sua vita sarebbe andata in frantumi come un vaso di coccio. – È mio dovere, no? Viola è una mia allieva.

* * * 

Viola suonò il campanello e rimase in attesa, mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare.
     Ti prego, apri quella porta!
     Il suo desiderio fu esaurito: la testa del professor Torre spuntò dall’uscio, la fronte leggermente corrugata. – Viola, cosa ci fai qui? È successo qualcosa?
     Gli occhi le si riempirono di lacrime. – Posso entrare?
     – Certo. Accomodati.
     Jacopo si fece da parte, continuando a fissarla preoccupato. Viola era consapevole dei suoi occhi fissi su di lei e si sentì vagamente a disagio. A un tratto rammentò la predica di suo padre, riguardo al suo abbigliamento, e si chiese se sul serio fosse così indecente. Arrossì fino alla punta dei capelli. – Ho avuto una brutta discussione con mio padre – esordì colpevole. – Non avevo voglia di tornare a casa, ma non sapevo dove andare. Così ho pensato…
     Lui le rivolse un sorriso abbagliante e l’accompagnò in soggiorno. – Hai fatto bene a venire. Se posso esserti d’aiuto in qualche modo… vuoi che parli con tuo padre?
     – Oh, no. Ho solo bisogno di… riprendermi. Ecco tutto.
     Lanciò un’occhiata distratta alla stanza. Era piuttosto grande e luminosa, con una libreria ricolma di libri di tutte le dimensioni, alcuni dei quali dovevano essere testi scolastici o universitari. Anche sul divano era posato un libro aperto. Viola sollevò uno sguardo allarmato sul professore, le guance in fiamme. – Stavi leggendo? Forse ti ho disturbato. Io…
     Gli occhi di lui brillarono di divertimento. – Tranquilla, stavo solo rileggendo Romeo e Giulietta. Sai, per la recita scolastica. Ho sottolineato alcune parti che vorrei rivedere con te. E con la classe, naturalmente.
     Viola sorrise. – Che coincidenza! Volevo giusto chiederti se potevamo provare insieme una scena su cui sono insicura.
     Jacopo inarcò un sopracciglio. – Che scena?
     – Quella in cui Romeo e Giulietta si dicono addio, all’alba, dopo la loro notte di nozze.
     Viola si portò al centro della stanza e cominciò a declamare: – Vuoi già partire? Il giorno è ancor lontano: era l’usignuolo e non l’allodola, a ferir del suo canto il cavo dell’orecchio tuo trepidante nell’attesa. Esso canta a notte su quel melograno laggiù. Credilo, amore: era l’usignuolo.
     Jacopo la raggiunse, accorciando la distanza fra loro. – Era l’allodola, l’araldo del mattino; e non già l’usignuolo. Guarda, amore, quali maligne striscie di luce non aggiungono una frangia a quelle nubi che laggiù si sciolgono a oriente. Le candele del cielo son tutte consumate e la gioconda luce del dì procede in punta de’ piedi sulle nebbiose cime dei monti. Debbo partire e vivere, o restare e morire.
     Viola ebbe un brivido nel sentirlo recitare in modo così appassionato. Avrebbe voluto che quella fosse la realtà e che Jacopo la chiamasse ancora amore. Trattenne il fiato e ricambiando lo sguardo col medesimo ardore, recitò: – La luce che vedi laggiù non è quella del giorno. Io lo so bene! È una qualche meteora esalata dal sole, perché stanotte t’accompagni, come un portatore di fiaccola, e illumini il tuo cammino a Mantova: e quindi rimani ancora. Non c’è alcun bisogno che tu parta così presto.
     Jacopo fece un altro passo verso di lei, lo sguardo ardente. La prese fra le braccia e Viola sentì un brivido percorrerle la schiena. Il cuore le batteva all’impazzata nel petto. Era quasi sul punto di scoppiare. La voce di lui era ridotta a un sussurro roco, quando parlò. – Ch’io sia preso, ch’io sia messo a morte: di nulla mi importa, s’è per incontrare il tuo piacere. Dirò anch’io che quel grigio lume non è l’occhio del mattino, ma solo un pallido riflesso della fronte di Cinzia, e aggiungerò che non è l’allodola a picchiar le sue note sulla volta del cielo, ch’è così alto sul nostro capo. Ho più desiderio di restare che volontà di partire. Vieni, o morte, e sii la benvenuta. Così vuole Giulietta. Che accade, anima mia? Parliamo tra noi, non è ancora giorno.
     Viola si sottrasse all’abbraccio, simulando uno sguardo allarmato. Calarsi nella parte era inaspettatamente facile quando a interpretare il ruolo di Romeo era Jacopo. Socchiuse gli occhi, incatenandoli ai suoi. – È giorno, è giorno! Fuggi di qui, parti in fretta! È proprio l’allodola che canta così stonata, sforzando aspre dissonanze e sgradevoli acuti – La voce le si incrinò all’improvviso. Sentiva un groppo in gola, quasi quello fosse realmente un addio. Poi Viola compì un gesto sconsiderato: gettò le braccia al collo di Jacopo e lo baciò. Fu un impulso, di cui a malappena si rese conto, ma quello che provò nello sfiorare le sue labbra con le proprie fu così intenso, così appagante, che dalla bocca le sfuggì un gemito. Quando si staccò da lui, Jacopo la fissò in silenzio per un istante che le parve un’eternità. I suoi occhi sembravano pozze scure. Penetranti come lame. Guizzarono dagli occhi alle labbra con un’intensità che le fece vibrare il cuore nel petto.




     Viola era come paralizzata, il torace che si alzava e abbassava al ritmo del respiro accelerato. Si leccò le labbra senza riuscire a distogliere lo sguardo da lui, quasi esistessero solo loro due al mondo. Infine, Jacopo le afferrò la nuca attirando nuovamente la sua bocca e avvinghiandola alla propria.

sabato 20 giugno 2015

SCANDALOSI LEGAMI - DODICESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Andrea rabbrividì di piacere. Diana lo stava facendo impazzire, strofinando le mutandine bagnate contro il suo sesso. Era quasi una tortura. A un tratto gli slacciò la cintura, guadagnandosi l’accesso alla zip. Lui si irrigidì. Era talmente teso che non riusciva neppure a respirare. Sussultò quando lei gli afferrò il pene fra le esili dita, cominciando ad accarezzarlo in tutta la sua lunghezza, dalla base alla punta congestionata.
     Si lasciò sfuggire un sospiro. Lei lo stava toccando in modo lieve, stringendolo delicatamente e Andrea era sul punto di perdere il controllo. – Cristo, Diana…
     – Shh… lasciami fare, ti prego.
     Sentiva il sudore imperlargli la fronte e strinse i denti. Poi le afferrò le cosce, insinuando le dita sotto la gonna, alla ricerca delle mutandine. Voleva, no… doveva assolutamente sentirla. Sfiorare la carne calda e umida che aveva fra le gambe. Era una necessità, come respirare. Finalmente trovò l’elastico degli slip e lo tirò, strappandolo. – Adoro il tuo sesso bagnato – disse in un rantolo, strofinando il pollice contro la sua fessura. – Vorrei avere il tempo necessario per aprirti e leccarti, fino a farti urlare di piacere.
     Diana gemette contro il suo orecchio. – Oh, cielo! Andrea, ti prego… non posso più aspettare.
     Spinse il pollice dentro di lei, eccitandola. Desiderava farle perdere la ragione, allo stesso modo in cui lei la stava facendo perdere a lui.
     – Hai dei preservativi? – La voce roca di Diana lo riportò alla realtà.
     – Cazzo, sì.
     Frugò freneticamente nella tasca dei calzoni, tirando fuori una confezione di plastica che strappò coi denti. – Non esco mai senza.
     Lei fece un sorrisino malizioso. – Già, immagino.
     Andrea si infilò la protezione, senza staccare gli occhi dai suoi. Non c’era niente di più erotico dello sguardo fisso sulla propria donna, nell’istante prima del possesso. Anche Diana non gli toglieva gli occhi di dosso, pareva ammirare il suo uccello duro e gonfio, pregustando il momento in cui l’avrebbe avuto dentro di sé. Be’, non l’avrebbe fatta aspettare a lungo.
         All’improvviso l’afferrò per i fianchi e la penetrò, sentendosi avvolgere dalla sua guaina stretta e bollente. Quello era il Paradiso, non aveva dubbi. Ansimò forte mentre Diana cominciava a muoversi, sollevandosi sulle ginocchia e riaffondando dentro di lui. Aveva il volto arrossato dal piacere, la testa reclinata di lato e lunghi riccioli bruni che le erano sfuggiti all’acconciatura e ora le ricadevano sulle spalle. Non era mai stata più bella.
     Mentre continuava a cavalcarlo con una forza disperata, Andrea le infilò le mani sotto alla maglia, slacciandole il reggiseno e accarezzandole i seni. Le punte dei capezzoli si ersero come sassolini e lui le stuzzicò coi pollici, strappando a Diana altri gemiti e sospiri.
     Chiuse gli occhi, lasciandosi cullare da quelle meravigliose sensazioni. Sentiva di essere sul punto di perdere l’equilibrio costruito durante tutti quegli anni. Era come se Diana avesse toccato un nervo scoperto e ora si ritrovasse lì, vulnerabile e inerme, di fronte a quella donna che gli stava facendo provare tutto quel piacere, senza chiedere niente in cambio. Non era abituato a rapporti di quel genere. Le sue amanti erano solite farsi ricompensare con regali costosi: viaggi, gioielli e abiti di lusso. Diana non gli aveva chiesto nulla, eppure gli si stava donando con una foga e un trasporto inusuali, lasciandolo annichilito e senza fiato.
     – Dio, sei così stretta… – mormorò, ansimando in preda a una dolce agonia. A sua volta, lei fece un sospiro, lasciandosi penetrare ancora più in profondità. Aveva lo sguardo offuscato dal piacere e Andrea non si sarebbe mai stancato di guardarla. Si rese conto di essere sul punto di venire, quando lei fu scossa da un tremito. Era così bagnata e scivolosa che il suo uccello entrava e usciva da lei con agilità. I muscoli interni della sua fica si contrassero, risucchiandolo dentro, e a quel punto Andrea esplose. Si aggrappò a lei, in un grido muto; il petto che si alzava e abbassava in respiri frenetici. Il sudore gli imperlava il labbro superiore quando infine si abbandonò, completamente distrutto, contro Diana.
     Si sentiva svuotato. E non era mai stato meglio in vita sua.




* * *

Andrea parcheggiò l’auto e percorse il vialetto d’accesso al complesso residenziale, situato sulle alture di Cavoretto. Si infilò nell’ascensore e premette il pulsante, la mente assorta nelle proprie riflessioni. Scostò il polsino della giacca sgualcita e guardò il Rolex d’oro che portava al polso. Forse aveva un po’ di tempo per farsi una doccia, prima di cena.
     L’idea di lavarsi via l’odore di Diana che gli si era appiccicato addosso non gli piacque neanche un po’. In genere non vedeva l’ora di liberarsi dell’amante di turno e non aveva mai avuto pensieri di quel genere. Ma quella volta era diverso.
     L’ascensore si fermò all’ultimo piano con uno scossone e Andrea scese, infilando una mano nella tasca dei calzoni, alla ricerca delle chiavi. Aprì la porta e tutti i suoi progetti di una serata all’insegna del relax si infransero non appena il suo sguardo cadde su Viola, seduta sul divano del soggiorno. Indossava una gonna inguinale e una maglia talmente scollata che le si vedeva l’ombelico. Per non parlare della faccia imbellettata come quella di un pagliaccio.
     Si arrestò di colpo. – Come cazzo ti sei combinata?
     Di solito evitava le imprecazioni di fronte a sua figlia, ma stavolta non era proprio riuscito a frenarsi in tempo. Le lanciò un’occhiata incendiaria mentre le si avvicinava, cauto. Viola roteò gli occhi e sbuffò, in quella maniera irritante, tipica degli adolescenti.
     – Mi sono messa la gonna. Cosa diavolo c’è di male?
     Andrea si trattenne dal prenderla a schiaffi. Detestava quando Viola gli mancava di rispetto. Inarcò un sopracciglio. – Ti sei messa la gonna? Ah, allora indossi qualcosa, perché così, a prima vista, sembri completamente nuda.
     Lei scattò in piedi, lo sguardo bellicoso. – Che esagerato! E poi da che pulpito viene la predica. Le tipe con cui sei solito uscire tu sono decisamente più scosciate di me.
     Andrea si morse la lingua. Piccola insolente! – Le tipe con cui sono solito uscire io non sono affar tuo. E per inciso, si tratta di donne adulte, non di ragazzine.
     Viola alzò il mento, gli occhi che si stringevano fino a diventare due fessure. – Io non sono una ragazzina. Ho diciotto anni, nel caso tu l’abbia scordato. Sono maggiorenne e pertanto posso vestirmi come più mi piace.
     – Stammi bene a sentire, ragazzina: non usare questo tono con me. Sono tuo padre e mi devi rispetto.
     – E allora tu smetti di trattarmi come una poppante.
     Viola lo fissò, una rabbia accecante negli occhi chiari. Ma prima che potesse risponderle a tono, si lanciò lungo il corridoio, singhiozzando. Andrea sentì sbattere la porta della sua stanza e trattenne un’imprecazione.
     Perché diamine era così difficile fare il padre? Avrebbe avuto bisogno di un manuale d’istruzioni, da tirare fuori in situazioni come quella. Percorse l’intero soggiorno a grandi falcate e afferrò il cordless situato su un mobile in mogano. Compose il numero velocemente, lasciando trasparire tutta la sua frustrazione. Diana rispose dopo un po’, il tono di voce spazientito. – Pronto? Chi parla?
     Andrea trattenne un sorriso. Ancora non aveva memorizzato il suo numero?
     – Sono io, Andrea. Ti disturbo?
     Dall’altra parte sentì un sospiro. – Andrea, te lo chiedo per favore: lasciami in pace!
     Per essere la stessa donna che aveva avuto un orgasmo multiplo nella sua auto, solo poche ore prima, la sua risposta gli parve un po’ fredda. E fredda era un eufemismo.
     – Ho bisogno del tuo aiuto. Si tratta di Viola.
     – La devi smettere di usare Viola come scusa per infilarti nel mio letto.
     Alla faccia della sincerità! Andrea si grattò la punta del naso. – Tecnicamente non eravamo in un letto e mi sembra che tu ne abbia goduto tanto quanto me. O sbaglio?
     – Andrea, non è questo il punto. Sono stata benissimo con te, è vero. Ma questa storia deve finire. Adesso.
     Avrebbe voluto prendere a calci il muro. O mettere le mani addosso a qualcuno. Invece, si limitò a inspirare ed espirare, piano. – D’accordo. Non ho intenzione di litigare con te, ora. Ma, ti prego… dammi una mano con Viola perché sto impazzendo.
     – Che è successo?
     In quello stesso istante Andrea sentì i passi di sua figlia nel corridoio, poi la porta di casa venne aperta e richiusa con un tonfo sordo. Viola era uscita senza neppure salutarlo. Di bene in meglio. Si rimangiò l’ennesima imprecazione e rispose: – Vieni da me e te lo spiego.



sabato 13 giugno 2015

SCANDALOSI LEGAMI - UNDICESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Jacopo sollevò lo sguardo dal registro e all’improvviso si sentì come se gli avessero risucchiato l’aria dai polmoni. Viola Sartori si era chinata a raccogliere una penna che le era inavvertitamente scivolata per terra e la sua gonna – già di per sé inesistente – si era accorciata di brutto, lasciando scoperte un paio di cosce da urlo.
     Deglutì a fatica, tornando a fissare il registro senza vederlo.
     Doveva stare calmo, ma l’effetto che quella ragazza aveva su di lui era devastante. Il suo cervello stava ancora cercando di elaborare l’immagine di quelle gambe ben tornite. Era una sua impressione o sotto la gonna aveva intravisto anche un paio di slip di pizzo nero?
     – Professore, vorrei farmi interrogare – la vocina squillante della Sartori lo fece sudare freddo. No, non poteva farcela. Era già una tortura così, senza averla vicino.
     Si schiarì la voce, imponendosi di respirare regolarmente. Cosa che aveva smesso di fare nel preciso istante in cui il suo sguardo era scivolato su di lei. – La prossima volta, Viola. Oggi vorrei che cominciassimo a leggere insieme Romeo e Giulietta. – Vuoi cominciare tu, per favore?
     Nei suoi occhi lesse una punta di delusione che si costrinse a ignorare. Era possibile che lo facesse apposta a provocarlo? Cosa sperava di ottenere in ogni caso? Aprì il libro di testo e rimase in attesa. Un attimo dopo Viola iniziò a leggere, con un pizzico di esitazione. Jacopo adorava il timbro della sua voce, così dolce e femminile.
     Ancora una volta si impose di mantenere la concentrazione. Andando avanti così, sarebbe stata un’impresa riuscire ad arrivare illesi al termine dell’ultima ora. Viola continuò a leggere per un po’, finché non fu sostituita dalla sua compagna di banco e poi da Scarpati. In effetti la pronuncia di quest’ultimo non era delle migliori; avrebbero dovuto lavorarci su. A Jacopo scappò un mezzo sorriso, quando ricordò la conversazione avuta con Viola al Caffè Torino, davanti a una tazza di cioccolata calda.
     A guardarla, adesso la ragazza sembrava un’altra persona. Aveva perso la propria aria fanciullesca e si era trasformata in una bomba sexy. Appariva persino più grande della sua età, con le lunghe ciglia ricoperte da uno spesso strato di mascara e le labbra lucide di rossetto.



     Era talmente immerso nei suoi pensieri che, quando sentì il suono squillante della campanella, gli parve fossero trascorse ore. Rivolse alla classe un sorriso imbarazzato e si sistemò il colletto della camicia. – Sartori, potresti fermarti qualche minuto? Avrei bisogno di parlarti.
     I ragazzi si alzarono, spostando sedie e chiacchierando animatamente tra loro. Viola invece rimase immobile nel banco, i grandi occhi azzurri spalancati dallo stupore. – Certo, professore.
     Jacopo si grattò il mento, perplesso. – Cosa hai fatto alla guancia? – l’aveva notato solo in quell’istante: Viola aveva un cerotto, appena sotto lo zigomo destro.
     La ragazza si alzò in piedi. – Oh, solo un graffio. Ho avuto un incidente col motorino sabato, mentre tornavo a casa.
     – Santo cielo! Perché non mi hai chiamato? È tutto a posto?
     Viola esitò e quando rispose, il suo sguardo era incerto, confuso. – Be’, ho chiamato mio padre. Mi è venuto a prendere al Pronto Soccorso.
     Che idiota! Perché mai avrebbe dovuto telefonare a lui? Solo perché avevano preso una cioccolata insieme, per parlare di una dannata recita scolastica, non significava che avessero un qualche legame stretto.
     Ti piacerebbe, vero Torre?
     Scacciò la propria irritante vocina interiore e le sollevò il mento con due dita, per esaminare lo zigomo tumefatto. – Hai preso una bella botta, eh? Ti fa molto male?
     Lei reagì arricciando il bel nasino aristocratico e a Jacopo cominciarono a prudere le mani, dalla voglia di seguire il suo profilo, dal naso fino alla dolce curva delle labbra. Era decisamente impazzito. Aveva il corpo in fiamme, solo per averle sfiorato il mento!
     – Non troppo – si decise a rispondere Viola, fissandogli intensamente le labbra. Jacopo sentì un formicolio lungo la spina dorsale e dovette schiarirsi la gola, prima di riprendere la parola.
     – A ogni modo, ti ho trattenuta in classe per chiederti se ti andrebbe di provare qualche scena dello spettacolo, uno di questi pomeriggi. Ancora non ho deciso a chi assegnare la parte di Romeo, ma potremmo cominciare noi due. Giusto per prendere familiarità con i personaggi. Che ne dici?
     Viola si attorcigliò una ciocca di capelli attorno a un dito, lo sguardo sognante. – Perché non interpreti tu Romeo? Saresti perfetto per la parte.
     Jacopo sentì le viscere contrarsi. Fece una risatina nervosa e si scostò da lei, nel tentativo di riacquistare un po’ di lucidità. – Vedremo, Sartori. Per il momento, incontriamoci qui domani pomeriggio, dopo le ore di lezione.
     Lei annuì assorta. – D’accordo. Non vedo l’ora, professore.
     La guardò allontanarsi, gli occhi calamitati dal lieve dondolare dei suoi fianchi. Un velo di sudore gli ricoprì la fronte. In che guaio si era cacciato? Forse l’idea della recita non era stata così buona come aveva pensato in principio. Diamine, era un uomo in carne e ossa, dopotutto.




* * *

Diana si fermò a un passo da Sartori, in piedi sul piazzale della scuola. Le dava le spalle e stava fissando un punto lontano, lo sguardo perso nel nulla come se riflettesse. Il suo cuore aumentò i battiti. – Sei venuto a prendere Viola? – chiese, facendolo voltare. – Bene, hai seguito il mio consiglio.
     Il liceo classico Gioberti era un viavai di ragazzini urlanti che si precipitavano in strada, zaino in spalla e l’esuberanza tipica dei giovani. Diana vi era ormai abituata, ma Andrea appariva come un pesce fuor d’acqua in quell’ambiente.
     – Sali – le disse all’improvviso, perentorio.
     – Come?
     Le indicò l’auto in attesa, accanto al marciapiede. Non era la stessa con cui era passato a prenderla la sera in cui l’aveva portata fuori a cena. Questa era una berlina nera, coi vetri oscurati e un autista al volante. La tipica macchina dell’uomo d’affari, insomma.
     Diana esitò. – Non aspetti tua figlia?
     – Viola tornerà a casa con Daniela, la sua compagna di banco. Ho bisogno di parlare con te. Da solo.
     Avrebbe voluto rispondergli per le rime. Non sopportava i suoi modi di fare autoritari e dispotici, ma non voleva fare scenate davanti alla scuola. Pertanto si infilò all’interno dell’auto, aggiustandosi la gonna al ginocchio che le si era sollevata di qualche centimetro. Andrea si sistemò al suo fianco, appoggiandosi allo schienale di pelle, lo sguardo fisso su di lei, quasi intendesse farle la radiografia. Da quella distanza riusciva a sentire l’odore del suo dopobarba. Era buonissimo. Mentre lo inalava a pieni polmoni, si impose di restare calma. Quell’uomo le suscitava reazioni insolite, che doveva assolutamente evitare.
     – Allora? – lo sfidò con lo sguardo.
     Ignorando la sua domanda, Sartori fece un cenno all’autista che avviò il motore. La berlina scivolò attraverso il traffico, imboccando Viale Regina Margherita e finalmente Andrea tornò a prestarle attenzione. Le prese una mano, lasciando scorrere le dita sul palmo e poi sulla carne sensibile del polso. Nonostante la temperatura esterna fosse piuttosto fredda, Diana si sentiva accaldata. Si tolse il cappotto con dita tremanti, facendosi aria con la mano. – Cielo, si soffoca qui dentro.
     Lo sguardo di Andrea era intenso, come quello di un predatore. Premette un pulsante e un vetro oscurato si alzò fra loro e l’autista, che continuò a guidare indisturbato. Un istante dopo, quasi senza accorgersene, Diana si ritrovò sulle ginocchia di Sartori, le labbra premute a forza contro le sue. Aveva il respiro corto mentre una scintilla di lussuria le incendiava l’anima e il corpo.



     Avrebbe voluto respingerlo, negarsi a lui con tutte le forze. Ma non poteva. Una scarica di adrenalina la spinse verso quel corpo possente, verso quella bocca carnosa, così sensuale ed erotica. Adorava il modo in cui baciava, come se non potesse farne a meno e da quel bacio dipendesse la sua stessa vita. Mettendo da parte ogni freno inibitore, Diana gli succhiò la lingua strappandogli un gemito roco.
     – Dio, piccola – sibilò, staccandosi da lei; il petto che si alzava e abbassava freneticamente. – Adoro quando mi baci così. Mi fai desiderare la tua bocca su altre parti del mio corpo. Solo a immaginarti mentre me lo succhi con una tale avidità… dannazione, di questo passo diventerò pazzo.
     Diana cercò di ricomporsi. Doveva a tutti i costi riprendere il controllo, ma non era affatto facile. – Perché non vuoi lasciarmi in pace, Andrea? Puoi avere centinaia di donne adoranti ai tuoi piedi. Ti basta schioccare un dito!
     Sartori le lanciò un’occhiata incendiaria. – Io non voglio una donna adorante, voglio te!
     – Perché? È il fascino del proibito che ti attira? Mi vuoi perché ti ho detto di no?
     – Non lo so – il respiro gli si era fatto affannoso. Le sue mani scivolarono sulla sua schiena e tentarono di infilarsi sotto il suo golfino di lana. – So solo che ti voglio. Adesso.
     Stentava a crederlo. Cosa diavolo poteva avere lei di così irresistibile per un uomo come Sartori? Chiaramente era solo un capriccio e, una volta che l’avesse posseduta, l’avrebbe messa da parte come un fazzolettino di carta usato. Cercò di spingerlo via, ma era una montagna di muscoli d’acciaio. Lui riprese a baciarla sul collo, sollevandole la gonna. La sua lingua era dappertutto: sulle orecchie, la fronte, gli zigomi… la stava inondando di baci umidi e roventi, mentre le mani si facevano strada tra le sue cosce.
     Annaspando Diana gli afferrò i polsi, bloccandolo. – Sei pazzo? Siamo in una macchina, in pieno centro cittadino!
     Andrea si fermò solo il tempo necessario per lanciarle un’occhiata piena di desiderio. – L’auto ha i vetri oscurati. Non può vederci nessuno. Cristo, Diana… ho bisogno di te. Un bisogno disperato.
     Come non cedere a quella supplica accorata? Diana esitò. Probabilmente se ne sarebbe pentita più tardi, quando lui l’avrebbe messa nel dimenticatoio, dopo averla usata. Ma adesso Andrea era lì, a sua disposizione e, cielo, sarebbe stata folle a non approfittarne.
     Solo per questa volta, Ricci. Coraggio!
     Si spostò per mettersi a cavalcioni su di lui, strofinandosi piano sulla sua erezione. La gonna le era risalita all’altezza delle cosce e soltando un paio di slip striminziti la separavano dalla beatitudine che Sartori le prometteva. Sospirò, allacciandogli le braccia attorno al collo e impossessandosi di nuovo delle sue labbra. Gli leccò la bocca, poi passò la lingua sulla sua mascella tesa e giù fino al collo. Voleva assaporarlo. Tutto.
     Andrea si lasciò sfuggire un ringhio. – Sbaglio o questo è un sì?
     – Tu che ne dici, Sartori?
     Ondeggiò sulle proprie ginocchia, accarezzando il suo pene eccitato. Il fiato di Andrea uscì come un sibilo tra i denti, quasi stesse facendo uno sforzo tremendo per trattenersi. Averlo in suo potere le piacque, molto più di quanto avrebbe immaginato. – Anch’io ho bisogno di te – bisbigliò, continuando a sfregarsi contro di lui. Mi hai provocata e ora dovrai subirne le conseguenze.

     La sua bocca calò nuovamente su quella di lui e diede inizio alle danze.

giovedì 4 giugno 2015

SCANDALOSI LEGAMI - DECIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

– Credimi, Giorgia… se lo lasci perdere è meglio! Quell’uomo non ti merita – Diana prese un sorso della sua birra, fissando l’amica negli occhi. Ancora non capiva perché perdesse il suo tempo dietro a quell’idiota. Giorgia era bella, simpatica… avrebbe potuto avere altri mille uomini ai suoi piedi.
     – La fai facile tu. Sei abituata a contare solo su te stessa. Da quanto tempo non ospiti un uomo nel tuo letto?
     Diana quasi si strozzò. Cominciò a tossire sputacchiando, gli occhi che le lacrimavano per lo sforzo. Avrebbe voluto rispondere che proprio quello stesso pomeriggio ne aveva avuto uno per le mani. Be’, non proprio in un letto… ma un divano contava ugualmente, no? Arrossì al pensiero dell’orgasmo da urlo che l’aveva travolta e alle dita di Sartori che si muovevano dentro di lei. Una vampata di calore l’avvolse e dovette fare uno sforzo tremendo per ritrovare la voce. – E questo che c’entra?
     Giorgia la fissò con condiscendenza, ficcandosi in bocca un’oliva  – C’entra eccome! Dovresti imparare a lasciarti andare ogni tanto. Altrimenti ti verranno le ragnatele.
     – Sciocchezze! Ho un ottimo rapporto col mio vibratore, sai? Dovresti provare. È poco rumoroso, non sporca e soprattutto non pretende che io cucini, lavi e stiri per lui.
     La sua amica pareva scettica e non poteva darle torto. In realtà, lei stessa non credeva alle proprie parole. Non dopo quello che era successo con Sartori. Giorgia sorseggiò il suo Martini e le lanciò un’altra occhiata dubbiosa. – Be’, non sai che ti perdi. Vale la pena sopportare qualche sacrificio, pur di avere il pene palpitante di un uomo fra le gambe.
     Giorgia le strizzò l’occhio e lei arrossì. Come erano arrivate a quel punto? Ah, sì… parlando di quello stronzo di Fulvio. Meglio riportare la discussione su un terreno meno pericoloso. – A ogni modo, dovresti cominciare a frequentare altri uomini. Fulvio è un parassita.
     – Lo so, lo so… è che non ci riesco a rinunciare a lui. È come un’ossessione!
     – Be’, liberati di questa ossessione allora!
     Diana stava cominciando a spazientirsi, quando il suo cellulare si mise a suonare senza sosta. Infilò una mano nella borsa e lo afferrò. – Pronto?



     La voce calda e sensuale di Sartori la investì. – Ciao, Diana.
     – Oh, ciao. Come sta Viola? – Si augurò di apparire tranquilla e pacata, ma in realtà il cuore le stava ballando una samba sfrenata nel petto, mentre il suo viso assumeva un ridicolo color ciliegia.
     – Bene. Non si è fatta nulla di serio. Solo un taglietto di poca importanza e un ginocchio sbucciato.
     Diana tirò un sospiro di sollievo. – Meno male. Ero così preoccupata! A proposito, grazie per aver chiamato. Non eri obbligato a farlo.
     Dall’altro lato si udì un lieve sospiro. – Diana, io… mi dispiace di essere corso via così all’improvviso e proprio sul più bello.
     – Scherzi? Tua figlia ha avuto un incidente! È naturale che tu sia andato da lei.
     – A ogni modo, sono terribilmente dispiaciuto. Permettimi di rimediare.
     Il cuore adesso prese a batterle nelle costole. – Rimediare? E come?
     – Passa la notte con me.
     A Diana quasi prese un colpo. Dovette inspirare, prima di riuscire a rispondere. E quando lo fece la sua voce era ridotta a un sussurro. – Non posso.
     – Non puoi o non vuoi?
     – Non posso e sai anche il perché.
     – Diana…
     – Senti, oggi è stato molto bello… ma non si deve ripetere. Mai più.
     Anche se non riusciva a vederlo, Diana percepì la frustrazione di Andrea. Era anche un po’ la sua, sebbene si rendesse conto di aver fatto la scelta migliore. Era meglio scordarsi di lui e del suo fascino magnetico. La vita avrebbe ripreso il suo corso naturale e lei non avrebbe rischiato di incasinarsi in una relazione pericolosa.
     Ma allora perché faceva così male? Sentiva un peso nel petto che le rendeva difficile respirare.
     – Se pensi che io mi arrenda così facilmente, non mi conosci affatto – fu la risposta secca di Sartori. Poi la comunicazione si interruppe, lasciandole addosso una forte inquietudine.
     – Chi era? – chiese Giorgia, inarcando un sopracciglio color mogano.
     Diana roteò gli occhi. – Un amico.
     La risatina maliziosa che seguì quasi la irritò. – Hai una storia e te la vuoi tenere per te? Non è così che ci si comporta fra amiche.
     – Non ho nessuna storia! – sbottò, sempre più nervosa. – E poi non stavamo parlando di Fulvio?
     Giorgia la studiò da sotto le ciglia abbassate. Anche uno stupido avrebbe capito che non le credeva per niente, ma non le importava. Non aveva alcuna intenzione di parlarle di Andrea. Mai e poi mai.

* * *

Viola era nella sua stanza e ascoltava assente il chiacchiericcio incessante della sua amica Daniela. Non avrebbe dovuto confessarle i sentimenti che provava per Jacopo, questo era poco ma sicuro. Aveva capito che era stata una pessima idea non appena le parole le erano uscite di bocca e l’aveva vista sgranare gli occhi.
     – Devi assolutamente fare qualcosa! – sbottò Daniela all’improvviso, destandola dalle sue elucubrazioni.
     – Qualcosa come andarmi a nascondere?
     La vide roteare gli occhi e appollaiarsi sulla sua scrivania come se niente fosse. – No. Qualcosa del tipo convincerlo a fare sesso con te. Non puoi arrivare vergine all’università!
     Per Daniela non aver mai fatto sesso con qualcuno equivaleva ad aver commesso un  crimine punibile col carcere a vita. Lei si era buttata fra le braccia del primo ragazzo con cui era uscita, in seconda superiore. Le aveva raccontato che non era stato un granché, ma che era stata ben felice di averlo fatto e di essersi liberata della grave onta della verginità. Naturalmente Viola non condivideva affatto le sue opinioni. Era una ragazza all’antica: credeva nel vero amore e desiderava lasciarsi andare solo una volta incontrata la persona giusta.



     Scosse la testa disgustata. – Dani, stiamo parlando del nostro insegnante di inglese!
     – Appunto. Un uomo adulto, con una buona dose di esperienza. Praticamente perfetto. E poi hai ammesso che ti piace.
     Viola scoppiò in una risata sarcastica. – Come se questo risolvesse tutto. Per lui non esisto neppure!
     – Perché ti vede ancora come una bambina. E tu di certo non lo aiuti in questo, lasciatelo dire.
     Viola corrugò la fronte. – In che senso?
     – Dovresti smettere di indossare jeans e maglioni larghi, a lezione. Non possiedi qualcosa di più sexy? – Daniela scese all’istante dalla scrivania e si infilò nel suo armadio, passando in rassegna i suoi vestiti. Tirò fuori una maglietta elasticizzata dalla scollatura prodigiosa e una minigonna di velluto. – Ecco, questi sono perfetti!
     A Viola quasi non mancò il respiro. – Stai scherzando? Non posso andare a scuola vestita in quel modo – In realtà, non avrebbe indossato quella roba neppure in un locale notturno. Semplicemente non era il tipo. Ma Daniela si mostrò irremovibile. Le lanciò uno sguardo torvo del tipo: non provarci neppure e la convinse.
     – Credimi – le sussurrò poco dopo, un sorriso birichino a incurvarle le labbra. – Non appena ti vedrà con questi, la smetterà di considerarti una bambina. Tutto quello che vorrà sarà infilarsi nelle tue mutandine. Gli uomini non resistono a un bel paio di tette e a gambe lunghe come le tue.

     Viola nutriva forti dubbi in proposito. Ma in fondo cosa aveva da perdere?