mercoledì 30 settembre 2015

SCANDALOSI LEGAMI - VENTITREESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.


Viola non riusciva a muoversi. Sentiva lo sguardo di Jacopo su di sé, intenso, paralizzante. Non sapeva cosa doveva fare. Si sforzò di respirare regolarmente e allungò timorosa una mano per sfiorargli il petto. – Posso?
Lui rise piano. – Certo.
Col cuore che le tamburellava contro lo sterno, Viola lasciò scorrere i polpastrelli sugli addominali scolpiti, sfiorando ogni muscolo. Erano tesi, duri come la pietra. Incredibilmente erotici. La pelle, calda come in preda alla febbre, era leggermente umida. Gocce di sudore ricadevano sul torace di Jacopo e tra la peluria scura che gli ricopriva il petto, fino a sparire all’interno del jeans.
Viola si morse il labbro e gli sbottonò i pantaloni, trattenendo il respiro. Le dita tremanti abbassarono la zip per poi insinuarsi all’interno, sotto i boxer.
Un ansito le uscì dalla gola secca. – Santo cielo, sei così duro!
Accarezzò piano l’intera lunghezza del pene di Jacopo, lanciandogli un’occhiata stupita. Lui però la bloccò, afferrandole la mano e stringendogliela in una morsa d’acciaio. Viola sussultò. – Ti ho fatto male? Mi spiace.
Lui rise di nuovo, ma stavolta la sua risata risuonò bassa, un po’ roca. – No, non mi hai fatto male. Ma se continui così, rischio di venire nei pantaloni e finirà tutto prima di cominciare.
– Oh, scusami.
– Non c’è nulla di cui tu debba scusarti, Viola. Non hai fatto niente di sbagliato. È solo che… Dio, ti desidero così tanto.
All’improvviso, quasi senza che se ne rendesse conto, Jacopo la sollevò tra le braccia e la depositò sul letto. Viola percepì la morbidezza del materasso e il calore del piumone contro la pelle. Lasciò che lui le togliesse le scarpe e gli slip. Poi fu il turno delle autoreggenti. Le sfilò prima una calza e poi l’altra, lasciandola completamente nuda, esposta al suo sguardo.
– Permettimi di prendermi cura di te, Viola.
Lei annuì. Non riusciva a muovere un solo muscolo. Il cuore le rimbalzò nel petto, lo sentiva pompare frenetico persino nelle orecchie. Si impose di restare calma, ma non era facile con l’uomo dei suoi sogni davanti a lei, a torso nudo, intento a fissare ogni centimetro del suo corpo. A un tratto lui si mosse, si mise a cavalcioni su di lei cominciando ad accarezzarla piano. La sua mano si muoveva lenta sulla sua pelle, sfiorandole prima una guancia, poi il lobo di un orecchio, infine il collo.
Viola iniziò ad ansimare.



Jacopo le afferrò un seno, soppesandolo; lo sguardo serio, concentrato.
– Lo so, sono troppo piccoli – fece lei, desiderando di poter andare a nascondersi. – Mi dispiace.
– Viola, sono perfetti. E smettila di dire che ti dispiace.
In risposta lei si morse di nuovo il labbro e Jacopo le circondò il capezzolo tra pollice e indice, pizzicandolo leggermente e strappandole un sospiro. Adesso era difficile restare fermi. Si sentiva accaldata, pervasa da una smania febbrile che non aveva mai provato in vita sua e che non riusciva a comprendere fino in fondo. Sapeva solo di volere di più. Di averne bisogno.
La mano di Jacopo si posò sull’altro seno, ripetendo tutto da capo. Era al contempo estasi e tormento. Viola si lasciò sfuggire frasi sconnesse, senza senso, mentre si inarcava verso quelle mani che la stavano facendo impazzire.
Avrebbe voluto che Jacopo le prendesse i capezzoli in bocca, come aveva fatto quel pomeriggio in macchina, solo che non osava chiederlo. Si vergognava troppo. Eppure, quasi le avesse letto nel pensiero, lui chinò le labbra su di lei per catturare la punta eccitata di un seno. Viola sentì la lingua di Jacopo guizzare intorno al capezzolo, solleticarlo, avvolgerlo.
Le vennero quasi le lacrime agli occhi per il piacere e si dimenò, strofinando il pube contro il suo bacino. Poteva sentire la sua erezione attraverso la spessa stoffa dei jeans. Cielo, non sapeva se provare vergogna o soddisfazione. L’unica cosa certa era che voleva quell’uomo con ogni fibra del proprio essere.
Sarebbe morta se anche stavolta lui si fosse tirato indietro.
– Oh, ti prego… non smettere! – supplicò col cuore in gola. Sapeva di risultare sfacciata, ma non poteva evitarlo.
La voce di lui, roca e profonda, la rassicurò. – Tranquilla, piccola. Non ne ho la minima intenzione. Questo è solo l’inizio.
Oh. Mio. Dio.
Solo l’inizio, aveva detto? Lei si sentiva andare a fuoco. Non era certa di riuscire a resistere a lungo a una tale tensione. Intanto, la mano di Jacopo proseguì la propria esplorazione. Mentre la bocca si trasferiva sull’altro capezzolo, le dita scesero sul ventre, sfiorandole l’ombelico e andando oltre. Viola lo sentì giocare coi peli del pube e insinuarsi tra le pieghe del sesso.
Un mugolio sommesso le sfuggì dalle labbra dischiuse.
Non era mai stata toccata .
Si chiese cosa dovesse fare, ma poi ogni pensiero fu scacciato via dalla sensazione squisita provocata da quello sfioramento, lieve come una piuma, sul suo clitoride. Viola arpionò le lenzuola con le unghie. Senza rendersene conto cominciò a dondolarsi, andando incontro alla mano di Jacopo, i mugolii che erano diventati gemiti e i gemiti urla vere e proprie.
Viola non avrebbe voluto, ma non riusciva a fermarsi. Non riusciva a pensare, a parlare, nemmeno a respirare. Tutta la tensione si era concentrata lì, tra le sue gambe. Era quasi insopportabile e allo stesso tempo meraviglioso.
– Lasciati andare, piccola – fece a un tratto la voce di Jacopo. Faticò persino a udirla, presa com’era da quelle dita che l’accarezzavano, tracciando lenti cerchi sulla sua carne madida. – Non trattenerti.
Lei non capiva a cosa stesse alludendo. Strinse i denti fino a far sanguinare il labbro, muovendo il bacino sempre più veloce, in modo quasi frenetico. – Oh, ti prego, ti prego, ti prego…
Non sapeva neppure per cosa lo stesse pregando; sapeva solo di essere sul punto di esplodere e sgretolarsi in mille pezzi. Poi lui le infilò un dito dentro, fino in fondo, e la tensione aumentò.
– Sei così bagnata, Viola – Jacopo cominciò a muovere il dito.
Dentro e fuori. Dentro e fuori.
Non sapeva cosa rispondergli. Le sue capacità cognitive erano completamente azzerate.
Infine, accadde qualcosa. I suoi muscoli interni si tesero e il piacere la invase a ondate, facendola irrigidire. Per qualche minuto rimase immobile, annichilita. Poi aprì gli occhi, che aveva tenuto serrati per tutto il tempo.

– Oh, cielo – fu tutto ciò che riuscì a dire.


venerdì 25 settembre 2015

SCANDALOSI LEGAMI - VENTIDUESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.


Dopo l’uscita di scena di Andrea, la casa le parve immersa in un insopportabile silenzio. Diana spense la tv e si appoggiò allo schienale del divano, gli occhi chiusi e il fuoco nelle viscere.
Dio, come lo voleva!
Non aveva mai desiderato un uomo con la stessa intensità, al punto da pentirsi di averlo rifiutato più volte. Se lui l’aveva abbandonata sul più bello, poteva incolpare solo se stessa e la propria stupidità.
Diana sospirò e si sfiorò un seno, lo stesso che aveva toccato Andrea solo un attimo prima. Le parve di sentire lo stesso brivido che le aveva procurato la carezza di quelle dita, l’eccitazione che montava in lei inarrestabile. Il capezzolo era duro come un sassolino. Necessitava delle attenzioni di un uomo e lei era sola.
Di nuovo sola.
Una lacrima le rotolò giù da una guancia. Possibile che Viola avesse ragione? Che lei si fosse comportata da vigliacca, cercando di rifuggire l’amore e i pericoli insidiosi che vi si nascondevano dietro?
Vale la pena di rischiare, non trova?
Oddio, era stata così cieca e stupida!
Aveva lasciato andare Andrea per paura di affezionarsi troppo a lui e di soffrire. Ma non stava soffrendo, ora? Certo, una relazione con lui sarebbe stata complicata. Lei era l’insegnante di sua figlia. Eppure, aveva così bisogno di lui. Sarebbe impazzita se non fosse riuscita ad averlo.
Ancora una volta.
Insinuò la mano all’interno del Babydoll, le dita che frugavano tra le gambe alla ricerca dei punti più sensibili. Il clitoride era gonfio, la carne in quel punto umida e bisognosa di essere sfiorata, accarezzata. Inarcò la schiena mentre si infilava un dito dentro, muovendolo sempre più veloce.
Immaginò che fosse Andrea a darle piacere. I muscoli interni si tesero e l’estasi arrivò a ondate, un grido che le sgorgava dalla gola.
Andrea. Oh, Dio. Andrea.
Dopo l’orgasmo Diana si ritrovò smarrita, i denti che tormentavano il labbro quasi fino a farlo sanguinare.
Non era stato sufficiente a placare la voglia di lui.
Con un sospiro, Diana si rassegnò a un’altra notte insonne.



Jacopo infilò la chiave nella serratura e aprì la porta di casa. Si augurò di non aver lasciato il solito casino in giro. Il suo era il tipico appartamento da scapolo: perennemente in disordine, ma pratico e funzionale.
Sempre tenendo Viola per mano, schivò un paio di jeans abbandonati sul pavimento e si diresse verso la camera da letto senza nemmeno accendere le luci.
– Ti chiedo scusa per il disordine – disse imbarazzato. – Non avevo programmato di portarti qui.
Lei rise, le dita strette nelle sue. – Non importa. Non sono qui per visitare il tuo appartamento, che per altro ho già visto. Sono qui per te. Per fare l’amore.
Cazzo, quanto era melodiosa la sua risata?
Jacopo fu tentato di sbatterla contro un muro e prenderla lì, in piedi, coi vestiti ancora addosso. Ovviamente quell’opzione non era neppure da prendere in considerazione. Solo un animale si sarebbe avventato in quel modo su una ragazza ancora vergine.
Controllati, Jacopo!
Ispezionò velocemente la propria stanza, affinché non ci fossero in giro indumenti imbarazzanti come un paio di mutande o un calzino sporco e poi accese una piccola lampada sul comodino. Più soft del lampadario e molto più romantica. O almeno credeva.
Si schiarì la voce. – Preferisci restare al buio?
In fondo, era giusto che fosse lei a decidere.
Viola puntò quei suoi occhi enormi e bellissimi su di lui. – No, va bene così.
Perfetto. In realtà non gli sarebbe piaciuto farlo al buio. Voleva poterla guardare. Dio, moriva dalla voglia di vederla nuda!
Le lasciò andare la mano e si asciugò le proprie nei jeans. Stava sudando come uno sbarbatello la sua prima volta, rischiando di fare la figura del coglione. Ma cosa poteva farci? Viola gli faceva quell’effetto: gli dava alla testa come un bicchiere di buon vino.
Sforzandosi di procedere per gradi, Jacopo le accarezzò il labbro inferiore con il pollice; gli occhi fissi nei suoi. Viola aveva delle labbra stupende: rosse e carnose. La afferrò per la vita, attirandola a sé e impossessandosi della sua bocca. Era calda e umida, morbida come seta. Lo stava facendo impazzire.
Con un ansito, Viola dischiuse le labbra e Jacopo ne approfittò per ficcarle la lingua in bocca. Voleva assaporarla, divorarla. Fondersi con lei. Si staccò senza fiato, con un’erezione in piena regola nei pantaloni.
Dio, se bastava un bacio ad eccitarlo in quel modo, non osava chiedersi cosa sarebbe successo quando l’avrebbe avuta nuda tra le braccia.
La temperatura si alzò improvvisamente di qualche grado.
Jacopo si tolse la giacca, gettandola su una sedia, e la fece seguire dalla maglietta. Ora andava meglio, si disse senza distogliere lo sguardo da Viola. La vide studiare i suoi pettorali con pura ammirazione e arrossire. Viola era un libro aperto e, dannazione, quel lato di lei lo faceva impazzire.
– Girati – le disse piano. Lei obbedì, consentendogli di tirarle giù la zip dell’abito. Jacopo trattenne il respiro e infilò due dita sotto una spallina, facendogliela scivolare lungo il braccio. Viola fu scossa da un brivido, ma lo lasciò fare e lui ripeté la stessa operazione con l’altra spallina, fino a liberarla completamente del vestito che ricadde ai suoi piedi. Timidamente, Viola lo scavalcò. Sotto non indossava il reggiseno, ma solo degli slip di cotone, semplici ed essenziali, e un paio di autoreggenti nere. Terribilmente erotiche su di lei.
Stavolta fu Jacopo a rabbrividire.
La desiderava così tanto.
Era certo che sarebbe morto, se non l’avesse avuta. Ciononostante, riuscì a chiederle: – Sei sicura, Viola? Vuoi andare fino in fondo?
– Sì – la sua voce era un lieve sussurro, ma la udì perfettamente. La fece voltare di nuovo, lentamente, in modo da poterla guardare in tutto il suo splendore. Aveva seni alti e rotondi, non troppo grandi. Perfetti da racchiudere in una mano. Su di essi i capezzoli si ergevano turgidi; due punte rosee sulla pelle chiarissima, quasi diafana.
Il sangue cominciò a pompargli più forte nelle vene.



lunedì 21 settembre 2015

SCANDALOSI LEGAMI - VENTUNESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Tutto ciò aveva dell’incredibile. Andrea si appoggiò allo schienale per stare più comodo e passò un braccio attorno alle spalle di Diana, attirandola contro il proprio petto. Si trovava a casa di una donna incredibilmente attraente e, invece di fare sesso, se ne stava su uno scomodo divano a guardare uno di quei film sdolcinati che di solito evitava come la peste. E ci stava pure prendendo gusto!
Cazzo, chi l’avrebbe detto?
Lanciò un’occhiata di sbieco alla donna conturbante che gli sedeva di fianco e trattenne il respiro. La vestaglia che indossava si era aperta sul davanti, lasciando intravvedere un babydoll rosa confetto, semitrasparente. Mantenersi indifferente stava diventando difficile, se non impossibile. Si sforzò di concentrarsi sul film, ma non riusciva a capire le battute; nella testa un solo pensiero costante.
Controllati, Andrea.
Si schiarì la voce. – Fammi un riassunto delle puntate precedenti.
Lei rise di nuovo. Da quando la risata di una donna gli faceva quell’effetto? Avrebbe voluto stringerla a sé e baciarla fino allo sfinimento. – Non è uno sceneggiato a puntate, stupido – gli rispose lei, stiracchiandosi un poco.
– D’accordo. Ma cos’è accaduto prima?
Diana parve rianimarsi mentre gli parlava del film. Si intuiva che era uno dei suoi preferiti: doveva averlo visto almeno un centinaio di volte. Un tempo lo avrebbe giudicato ridicolo, ma in quell’occasione gli fece una gran tenerezza. Diana Ricci, la temibile prof del liceo classico Gioberti, la stessa donna che lo stava tenendo a distanza da giorni, era in realtà una gran romanticona.
E diamine, quel lato di lei gli piaceva da impazzire.
Si accorse di trovare davvero piacevole la sua compagnia. Guardarono il film, risero, si punzecchiarono e riuscì a non toccarla nemmeno con un dito. Be’, di tanto in tanto lanciava qualche sbirciatina alla sua scollatura. Ma quello non contava, giusto? Cioè, quale uomo sano di mente non avrebbe sbirciato?
Andrea si ritrovò a chiedersi quando fosse stato così bene con una donna senza fare sesso. Non ricordava. O forse non era mai successo. Con la madre di Viola era accaduto tutto così in fretta: per lei aveva provato una folle attrazione che si era esaurita, tuttavia, in un battito di ciglia. E dopo di lei era stato ben attento a non lasciarsi coinvolgere. I suoi rapporti col gentil sesso si esaurivano tra le lenzuola di un albergo e il più delle volte non ricordava neppure i nomi delle donne che si era portato a letto.
Strano che tutto ciò adesso gli apparisse squallido e triste.
Il film terminò coi protagonisti che si baciavano su una scala antincendio mentre una voce fuoricampo diceva: – E voi ce l’avete un sogno?
Diana sospirò con le lacrime agli occhi, soffiandosi energicamente il naso arrossato in un fazzolettino di carta. Andrea invece scosse il capo sconcertato. – Cosa diavolo ci trovi di così romantico in questa storia? Voglio dire, lei non era altro che una puttana!
In risposta ricevette una gomitata nello stomaco. – Non capisci proprio niente, Andrea Sartori.
– D’accordo, spiegami.
– Questo film apre una porta di speranza a tutte le donne. Se una prostituta può realizzare il suo sogno e sposare un miliardario, allora vuol dire che ciascuna di noi può avere una possibilità. Prima o poi.
Andrea le indirizzò un sorriso malizioso. – Be’, la tua possibilità è qui davanti a te. Ora. Sono o non sono un miliardario in carne e ossa, a tua disposizione?
Lei gli diede un’altra gomitata. – Sei proprio scemo!
Una risata spontanea gli sgorgò dal petto. Non riuscì a evitarlo: afferrò Diana per la nuca cercandole le labbra. Fu un bacio dolce, incredibilmente lento. Ma poi si tramutò in qualcos’altro. Lei gli avvolse le braccia intorno al collo, i seni premuti contro il suo petto. Poteva percepirne il calore attraverso gli spessi strati dei vestiti che aveva addosso. E Andrea perse completamente il controllo. Le mani scivolarono verso il basso, slacciarono la vestaglia aprendola del tutto. Quindi si tuffarono all’interno della scollatura del babydoll, mentre la sua bocca divorava quella di lei con piccoli morsi, la lingua che entrava e usciva famelica. Le dita si strinsero intorno a un capezzolo, pizzicandolo e strappando a Diana un gemito.
Dio, adorava i versi che faceva con la gola durante gli amplessi.
Eppure Andrea sapeva che doveva fermarsi. Si era imposto di rispettare i suoi tempi e lei non era ancora pronta a infrangere le regole. – Aspetta – disse, sottraendosi all’abbraccio. – Si è fatto tardi e domani devi alzarti presto.
Diana lo fissò come se avesse appena detto qualcosa senza senso. – Come?
– Buonanotte, dolcezza. Dormi bene.
Si alzò, cercando di nascondere la propria erezione che premeva contro i pantaloni. Diamine, niente gli era sembrato così difficile come quella ritirata strategica. Ma se voleva acquistare dei punti con Diana Ricci, doveva imparare a giocare secondo le sue regole.
Lei sbatté le lunghe ciglia scure. – Buo-buonanotte – rispose titubante.

E Andrea capì di aver vinto la battaglia.



Viola entrò nel locale affollato, cercando di ignorare la musica ad alto volume che le rimbombava nelle orecchie. Quella sera aveva approfittato dell’assenza di suo padre per partecipare alla grande festa del liceo, organizzata da alcuni compagni di scuola. Il suo vecchio probabilmente non le avrebbe dato il permesso di restare fuori fino a tardi, ma lui non era in casa e, se lo conosceva bene, non sarebbe rientrato prima dell’alba. Non era la prima volta che faceva le ore piccole e che tornava a casa con addosso il profumo dozzinale di qualche donna.
I primi tempi Viola ne era stata infastidita. Ora non più. Pensava che suo padre avesse il diritto di vivere la propria vita, dopo che sua madre l’aveva lasciato per inseguire la sua stupida carriera di modella. Non stava a lei giudicarlo.
Sorrise a Stefano che l’aveva accompagnata e staccò con disinvoltura la mano dalla sua. – Io vado a sedermi a quel tavolo laggiù. Potresti andarmi a prendere qualcosa da bere al bancone del bar?
Lui annuì adorante e corse via. Era una delle cose che non sopportava di Scarpati: sembrava un cagnolino scodinzolante. Non aveva personalità. Nulla a che vedere con un certo professore dagli occhi ipnotici, che baciava da dio. Proprio mentre pensava a Jacopo, lui apparve all’improvviso, un ciuffo ribelle sulla fronte spaziosa e lo sguardo tenebroso.
Era bello da impazzire.
Viola rimase imbambolata a fissarlo, il cuore che le faceva le capriole nel petto. Sapeva che qualcuno della classe lo aveva invitato alla festa, ma era convinta che non si sarebbe fatto vedere. Invece, eccolo lì. I jeans scoloriti che gli fasciavano le natiche sode e una semplice maglietta nera sotto la giacca di pelle. Le ricordò la frase di una vecchia canzone di Paola e Chiara.
Mi fa morire. Quando lo vedo io sto male.
Sembrava scritta apposta per lui.
Quasi senza accorgersene, come se fosse attratta da una calamita, Viola si fece largo tra gli invitati e lo raggiunse. Per l’occasione aveva indossato un abito da sera con un’ampia scollatura. Si augurò di destare la sua curiosità.
Ti prego, fa che mi noti!
Jacopo la squadrò in silenzio, lo sguardo indecifrabile. – Sei venuta insieme a lui?
– Se con “lui” intendi dire Stefano, la risposta è sì. Per te è un problema?
Il professore d’inglese si irrigidì. Distolse lo sguardo e imprecò, ma le sue parole si persero nel baccano del locale. – Ci sto provando, Viola. Mi sto sforzando di vederti solo come una mia allieva, ma è difficile. Quando ti vedo insieme a Scarpati, vorrei spaccargli la faccia. Mi rendo conto che è un comportamento poco professionale, ma è più forte di me.
Viola sentì un tuffo al cuore. Jacopo era geloso di Stefano?
Oddio, non riusciva a crederci!
Accorciò la distanza tra loro e sorrise. – Balla con me.
– Viola, noi non dovremmo…
– Ti prego.
Lui sospirò e la prese per mano per portarla al centro della pista da ballo. In quel momento stavano suonando un lento e Viola si aggrappò al suo collo, dondolando i fianchi contro i suoi, a tempo di musica. Chiuse gli occhi aspirando l’odore del suo dopobarba. Avrebbe voluto restare così per sempre: abbracciata a lui, la testa appoggiata al suo petto. Riusciva persino a sentire i battiti del suo cuore, che sembrava impazzito esattamente come il proprio.
– Sei bellissima stasera – fece a un tratto Jacopo, accarezzandole una guancia col dorso della mano. Il suo tocco era leggero come quello di una piuma. Le fece venire i brividi.
– Anche tu.
Lui rise piano. – Viola, cosa devo fare con te?
– L’amore. Facciamo l’amore, Jacopo. Smetti di pensare a me come a una tua alunna e guardami come si guarda una donna.
Lui la trafisse con uno sguardo rovente, la linea della mascella tesa. Sembrava che stesse ingaggiando una lotta interiore, e forse era proprio così. Non disse nulla e lei gli sfiorò la nuca con le dita.
– Ti prego, non respingermi di nuovo. Non potrei sopportarlo.
I muscoli di Jacopo si tesero e quando parlò, la sua voce era profonda, quasi minacciosa. – Non sai quello che mi stai chiedendo, Viola. Credimi, non sono così forte da riuscire a respingerti. Non stasera. Non mentre muovi i tuoi fianchi contro i miei in questo modo. Cazzo, sono fatto di carne e sangue anch’io.
– E allora lasciati andare. Se non perderò la verginità con te, stanotte, lo farò prima o poi con un altro. Cosa cambierebbe? Non sono più una bambina, Jacopo.
Lui inspirò e si strinse maggiormente a lei, quasi temesse di vederla fuggire via all’improvviso. Che idea sciocca. Lei non lo avrebbe lasciato. Mai. Poi la prese di nuovo per mano, con una stretta decisa. – Andiamocene da qui. Ti porto nel mio appartamento. Lì staremo più tranquilli.
Il cuore di Viola perse un battito.
Sì, sì, si.
Si sarebbe messa a saltellare per la gioia, ma si limitò a un semplice sorriso di trionfo.


venerdì 18 settembre 2015

SCANDALOSI LEGAMI - VENTESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Viola servì il tè e si lasciò cadere sulla sedia. Sul tavolo di cucina aveva sistemato un vassoio pieno di biscotti e merendine del Mulino Bianco; non conoscendo i gusti della professoressa Ricci, aveva tirato fuori un po’ di tutto, anche se la sola idea di mangiare qualcosa le faceva rivoltare lo stomaco. Si sentiva ancora sottosopra per i baci di Jacopo ed era difficile concentrarsi sul cibo.
In realtà, avrebbe preferito non invitarla a salire. Ma doveva fugare in ogni modo i sospetti che la prof nutriva nei confronti suoi e di Jacopo. Non voleva nel modo più assoluto che lui passasse dei guai a causa sua.
Calmati, Viola. Andrà tutto bene.
Inspirò e mise una zolletta di zucchero nel tè, rigirando con furia il cucchiaino. – Io e Scarpati ci siamo innamorati – disse, sforzandosi di essere credibile. La Ricci la guardò in silenzio, portandosi la tazza alle labbra. Aveva labbra carnose e rosse. Tutto sommato non era così squallida come aveva sempre pensato. Ultimamente la stava rivalutando. – So che le sembrerà sciocco, ma alla mia età una storia d’amore è qualcosa di serio. Ti toglie il respiro e il sonno. Ti fa venire voglia di piangere e ridere allo stesso tempo.
La professoressa sorrise. Un sorriso spontaneo, per niente forzato. Viola quasi si pentì delle bugie che le stava raccontando.
Quasi.
In fondo, erano bugie solo a metà. Lei era davvero innamorata, solo non di Scarpati.
– Ti capisco, Viola – La Ricci parlò con voce limpida e soave. Il suo tono aveva un non so che di tranquillizzante, che la fece sentire subito meglio. – Ho avuto la tua età anch’io.
– Lei è mai stata innamorata? – La domanda le fuoriuscì senza riflettere, ma non si scusò della propria invadenza. Dopotutto anche la prof si stava intromettendo nella sua vita. Se dovevano essere amiche, era giusto che si confidassero i loro piccoli segreti.
Lei arrossì. – Sì, sono stata innamorata. E so cosa voglia dire avere il cuore infranto. Per questo mi preoccupo quando vedo una mia alunna che non si impegna come dovrebbe. L’amore è una cosa bellissima, ma studiare è importante.
– Lo so – Viola prese un biscotto e lo tuffò nel tè. – Ma è difficile concentrarsi, quando la mente va in un’altra direzione.
Fece una pausa, poi chiese di nuovo a bruciapelo: – Quanti anni aveva la prima volta che ha fatto l’amore?
La prof arrossì nuovamente. Distolse lo sguardo e bevve un altro sorso di tè. – Avevo vent’anni – ammise, dopo un po’. – Mi ero presa una cotta per un compagno di università ed ero convinta di essere ricambiata, che una volta laureati ci saremmo sposati e avremmo formato una famiglia insieme.
– E cosa accadde?
La Ricci poso la tazza sul tavolo e si asciugò le labbra con il tovagliolino di carta. – Lui andò a letto con la mia migliore amica. Fine della storia.
Viola restò a bocca aperta. – È per questo che si nasconde dietro a vestiti fuori moda e pettinature che non le donano affatto? Per nascondersi e rifuggire l’amore?
La prof trasalì. Rimase in silenzio per un istante, infine rise piano. – Sì, forse è proprio come dici tu. L’amore è una cosa bellissima, ma può distruggerti.
– Già. Ma vale la pena di rischiare, non trova?
A quell’ultima provocazione lei non rispose. Ripiegò con cura il tovagliolino di carta e tornò a guardarla negli occhi, un velo di malinconia a offuscarle lo sguardo. – Si è fatto tardi e ho rubato anche troppo del tuo tempo – disse risoluta, alzandosi da tavola. – Ora è meglio che tu vada a studiare. Domani interrogo su Leopardi.
Viola la seguì con lo sguardo. Sì, l’aveva giudicata male: in modo affrettato e superficiale. La nuova Diana Ricci in realtà le piaceva. Molto. – Le prometto che mi impegnerò di più – disse, alzandosi a sua volta e accompagnandola alla porta. – E grazie per la visita.
– Grazie a te per il tè e la chiacchierata.
La guardò allontanarsi giù per le scale, la gonna al ginocchio che ondeggiava a ogni passo. Le sarebbe piaciuto avere una madre così, pensò Viola all’improvviso. Qualcuno che la ascoltasse e con cui confidarsi. Ma ricacciò quel pensiero inopportuno all’istante e andò a chiudersi in camera sua.



Diana sentì il campanello suonare con insistenza e sollevò la testa irritata. Chi poteva essere a quell’ora? La lancetta dell’orologio segnava le nove di sera. Imprecò mentalmente scivolando giù dal divano e sbattendo il telecomando sul tavolino rotondo della sala.
Chi osava interromperla mentre guardava uno dei suoi film preferiti? Se era la vicina di casa che aveva dimenticato di comprare lo zucchero per una delle sue torte, le avrebbe detto il fatto suo.
Si infilò una vecchia vestaglia e calzò un paio di pantofole logore, prima di correre alla porta e guardare dallo spioncino. Il cuore le si fermò. Non era la vicina di casa, bensì Andrea Sartori in tutta la sua prorompente sensualità. Aprì la porta quel poco che bastava per sporgersi con la testa, le guance in fiamme per l’imbarazzo. – Perché sei venuto?
Andrea fece un sorrisino. – È questo il modo di accogliere un ospite, professoressa Ricci?
– Saresti così gentile da rispondere alla mia domanda?
Un altro sorrisino. Andrea Sartori aveva una gran faccia da schiaffi, ma doveva ammettere che era bellissimo.
– Viola mi ha detto che sei passata da lei dopo la scuola – Andrea la fissò con i suoi occhioni ipnotici, togliendole il respiro. – Volevo ringraziarti per aver parlato un po’ con lei.
– Avresti potuto telefonarmi.
Diana era consapevole di risultare brusca e un po’ acida, ma non poteva farci nulla. Diamine, si trovava davanti a un dio greco e lei era in vestaglia e pantofole, coi capelli che sembravano una massa indistinta di riccioli. Per fortuna non si era messa anche i bigodini!
Lui allungò una mano e le sistemò un ciuffo ribelle dietro l’orecchio. – Avevo voglia di vederti.
Come poteva una voce suonare così dolce e armoniosa? Diana non lo sapeva, ma bastarono quelle poche parole a farla sciogliere come un cono gelato nel deserto del Sahara.
– Non mi fai entrare?
Oddio, questo proprio no!
Assunse un’espressione severa e risoluta. – Mi dispiace, ma stavo andando a dormire.
Lui aggrottò la fronte e si grattò la punta del naso. – Alle nove?
– Perché? Hai qualcosa in contrario?
– Oh, sì. Ci sono un mucchio di cose interessanti che si possono fare a quest’ora e dormire non è fra queste.
Diana deglutì. Come riusciva quell’uomo a farle venire la palpitazioni in quel modo? – Per esempio? – chiese con un filo di voce.
– Per esempio… – fece un passo verso di lei, facendola indietreggiare. A quel punto spalancò la porta. – Per esempio, potremmo sdraiarci sul divano e guardarci un buon film.
Lei fu certa di aver capito male. Sgranò gli occhi. – Hai detto guardare un film?
– Esatto. A cosa stavi pensando, mia piccola perversa? – La sua risata riecheggiò nel corridoio. Diana avrebbe voluto unirsi alla sua ilarità, ma non poteva. Se ne stava lì, fasciata in una vestaglia che aveva visto tempi migliori, mentre lui la esaminava da cima a fondo. Se avesse potuto, si sarebbe lasciata inghiottire dal pavimento: tutto, pur di nascondersi al suo sguardo. Tuttavia, lui non parve badare al suo abbigliamento ridicolo. Si avviò in direzione della sala, come se conoscesse il suo appartamento a memoria.
Be’, in realtà aveva già collaudato il suo divano. Diana si fece paonazza al solo ricordo e gli trotterellò dietro, il cuore che batteva a mille contro lo sterno. – Ehi, aspetta! Chi ti ha dato il permesso di entrare?
– Non fare la difficile, dolcezza. Non ho intenzione di costringerti a fare nulla che tu non voglia.
Lei roteò gli occhi senza essere vista. Il problema era che lei avrebbe voluto fare quelle cose. Solo che non poteva. Non poteva proprio!
Quasi non andò a sbattere contro quel fascio di muscoli, non appena lui si fermò davanti alla porta aperta della sala. Dalla tv arrivavano le immagini di Pretty Woman e Richard Gere, seduto in macchina con Julia Roberts, le stava lanciando un’occhiata seducente. – Si è gonfiato – disse con la sua voce sexy mentre lei si affrettava a rispondere: – No, ma ci si può lavorare.
Andrea si voltò di scatto, un sopracciglio inarcato. – Che film stavi guardando, piccola sporcacciona?
Ecco uno di quei momenti in cui Diana avrebbe voluto sparire. Volatilizzarsi. Con le guance in fiamme abbozzò un sorriso che sembrava più una smorfia. – È Pretty Woman. Non c’è niente di indecente in questo film, te lo posso assicurare.
Andrea entrò nella stanza e si lasciò cadere sul divano, come se si trovasse a casa propria. – Tu dici? Sbaglio o lei ha appena allungato una mano per toccargli il pene? Se questo è solo l’inizio...
Diana rise e si accoccolò al suo fianco. – Sul serio non hai mai visto Pretty Woman?
– Non ho molto tempo per i film: spesso lavoro fino a tardi. Questo però ha il suo perché, devo ammetterlo. E pensare che ho sempre detestato le commedie romantiche… devo rivalutarle!

Diana scosse la testa incredula. Sul serio si trovava sul divano, in compagnia dell’uomo più sexy del pianeta, a guardare film romantici? Se glielo avessero detto non ci avrebbe creduto. – E non hai ancora visto niente, Sartori – lo provocò, dandogli un leggero pizzicotto.


lunedì 14 settembre 2015

SCANDALOSI LEGAMI - DICIANNOVESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Non ebbe il tempo di ragionare su ciò che stava accadendo: le mani di Jacopo erano dappertutto: sul suo sterno, sui seni; le dita che sfioravano i capezzoli attraverso il tessuto sottile del reggiseno.
Viola ebbe la sensazione che ogni cosa intorno a lei si sgretolasse. Aveva coscienza solo di quei polpastrelli che si muovevano sulla sua pelle, provocandole brividi in tutto il corpo. Era certa di non aver mai provato nulla di simile in vita sua. Chiuse gli occhi nel preciso istante in cui Jacopo le fece scorrere le mani lungo la schiena, per slacciarle il reggiseno. Trattenne il fiato. Lui le sollevò la maglia e lei l’aiutò a sfilargliela dalla testa. Poi anche il reggiseno volò via.
Dio mio, non riusciva a credere che stesse succedendo davvero!
L’aria fresca di quel pomeriggio invernale la investì, facendole inturgidire i capezzoli. Ma fu solo un attimo. Subito dopo la bocca di Jacopo fu su di lei; avvolse una delle punte eccitate, stuzzicandola a lungo con la lingua, e un fuoco inarrestabile le divampò dentro.
Dalle labbra riarse di Viola fuoriuscì un gemito prolungato. Le dita si strinsero ancor di più sul maglione del professore, quasi volesse trattenerlo, impedirgli di smettere quella dolce tortura.
Invece tutto finì.
Viola si ritrovò a fissare gli occhi di brace di Jacopo su di lei, il petto scosso da respiri affrettati. – Ti prego, non fermarti – supplicò con un filo di voce.
Lui si lasciò sfuggire un’imprecazione. – Vuoi perdere la verginità qui, in una fottuta macchina? È questo che vuoi?
Viola dovette fare uno sforzo tremendo per riordinare i pensieri. – Voglio perdere la verginità con te. Non mi importa dove.
Jacopo rise piano. Una risata secca, senza allegria. – Non sai quello che dici. Meriti molto di più di una sveltina sui sedili posteriori di una Peugeot di seconda mano. Tu meriti di essere coccolata e viziata. Meriti paroline dolci sussurrate all’orecchio, su un letto ricoperto di petali di rose. Cazzo, Viola… stiamo parlando della tua prima volta!
Lei aveva quasi le lacrime agli occhi. Cavolo, era stata così vicina al raggiungimento del suo sogno più grande. Le si erano persino bagnate le mutandine e, nonostante la propria inesperienza, sapeva cosa volesse dire: era pronta per lui. E non era sicura che con un altro avrebbe provato le stesse cose. Si asciugò una lacrima col dorso della mano, ma non fiatò. Cosa poteva dire?
Jacopo raccolse il suo reggiseno che era finito sul tappetino, ai propri piedi, e glielo porse. Lo indossò in silenzio, un’ondata gelida sul cuore. – Rivestiti – le disse a un tratto lui, distogliendo lo sguardo. – Ti riporto a casa.




Diana tamburellò le mani sul volante, nella testa un turbinio di pensieri confusi. Dov’era finita Viola? Era passata a casa Sartori per parlare con lei, ma non aveva trovato nessuno. Si chiese se fosse il caso di sentire Andrea, ma non voleva metterlo in apprensione.
Forse era andata a studiare da qualche compagno di scuola.
Stava per riavviare il motore, quando una Peugeot grigia si immise nel vialetto d’accesso e si arrestò proprio davanti all’elegante stabile in cui vivevano i Sartori. Diana trattenne il respiro. Sapeva a chi apparteneva quell’auto: Torre l’aveva riaccompagnata a casa con quella, dopo l’ultimo collegio docenti. Gocce di sudore le scesero lungo la schiena e rimase immobile a fissare la figura esile di Viola che scendeva dall’auto, lo zaino in spalla e un’espressione smarrita sul volto pallido.
Merda.
     Si impose di restare immobile, nonostante il suo primo istinto fosse stato quello di raggiungerli e pretendere dal suo collega una spiegazione esauriente. Cosa diavolo ci faceva in compagnia di Viola?
Non essere impulsiva, Diana. Calmati.
Trattenne il respiro finché l’auto non si fu allontanata. Solo allora scese dalla propria e raggiunse Viola, i tacchi che scricchiolavano sulla ghiaia del vialetto.
– Viola! – chiamò, agitando una mano e mettendosi a correre.
Lei si arrestò di colpo, la fronte leggermente corrugata. – Professoressa Ricci, cosa ci fa qui?
Prese una boccata d’aria, prima di riuscire a rispondere. – Sono passata per chiederti se ti andava di fare un po’ di shopping insieme. Così chiacchieriamo un po’.
Viola esitò. Poteva immaginare il suo sconcerto. Forse era addirittura spaventata dalla sua improvvisata. Decise di tranquillizzarla. – È stato tuo padre a chiedermelo.
Lei calciò via un sassolino e si adombrò. – Quando la smetterà di trattarmi come una bambina? Non ho bisogno di una baby-sitter!
– E di un’amica? Puoi considerarmi solo questo: un’amica.
– Lei non è mia amica. È la mia prof di italiano.
Diana mantenne lo sguardo fisso su di lei cercando di non intimorirla, ma allo stesso tempo di apparire dura e inflessibile. – Anche il professor Torre è un tuo insegnante, eppure sembrate in ottimi rapporti. Ti ho vista scendere dalla sua auto, poco fa.
Se era sorpresa dalla sua domanda diretta, Viola non lo diede a vedere. Si limitò a mordersi il labbro inferiore e a sistemarsi lo zaino sulla spalla. – Stiamo lavorando insieme a una recita scolastica. Tutto qui.
– Sicura? – Diana la incalzò, ben decisa a farsi dire la verità. – Non lo stai coprendo, vero? Vi ho visti insieme anche stamattina, nei bagni della scuola. Dubito che vi siate chiusi in bagno per parlare di una rappresentazione scolastica.
La vide arrossire e un po’ le fece tenerezza. Viola non era molto brava a mascherare le proprie emozioni. – In realtà è lui che sta coprendo me.
Questa proprio non se l’aspettava. Sgranò gli occhi. – Come? In che senso?
– Mi ero chiusa in bagno con Scarpati. Il professor Torre ci ha visti mentre ci baciavamo e ha promesso di non dirlo a nessuno. Ma non abbiamo fatto nulla di male io e Stefano. È stato solo un bacio.
Diana era interdetta. Stava dicendo la verità?
Si sentì stupida per aver sospettato in quel modo del professor Torre. Era sempre stato un bravo collega: serio, gentile e disponibile. Lei poteva dire altrettanto? Non ci aveva messo molto a infilarsi nel letto di Andrea, sebbene tecnicamente non si fosse trattato di un letto, e in fatto a serietà sul lavoro era di certo lei a trovarsi in difetto.
Rammaricata, rivolse a Viola uno sguardo colpevole. – Okay, mi scuso per essermi intromessa. Sono solo preoccupata per te. Ultimamente sei così distratta a scuola. Cosa ti sta succedendo?
Viola tornò a mordersi il labbro. – Che ne dice di salire di sopra? Parleremo meglio di fronte a una tazza di tè. O se preferisce una cioccolata calda.
– Un tè sarebbe perfetto, grazie.
– Mi promette che ciò che le dirò resterà tra noi e non correrà a spifferarlo a mio padre?
Trattenendo un sorriso, Diana annuì convinta. – Promesso.

– Avanti, mi segua.


martedì 8 settembre 2015

SCANDALOSI LEGAMI - DICIOTTESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Diana controllò l’orologio da polso e accelerò il passo. Era in ritardo. Di nuovo. Aveva trascorso la notte a pensare ad Andrea, addormentandosi solo alle prime luci dell’alba. E ora aveva gli occhi che sembravano due palle da bowling. Si sentiva a pezzi.
     Accidenti!
     Doveva trovare un sistema per togliersi Sartori dalla testa, una volta per tutte. Proprio in quello stesso momento, mentre si avviava quasi correndo verso la III B, notò Viola che usciva a spron battuto dai bagni, le guance arrossate e le labbra gonfie come se… come se avesse trascorso gli ultimi minuti a baciare qualcuno.
     Si immobilizzò, le membra diventate all’improvviso pesanti.
     Cosa doveva fare? Una vocina interiore le suggeriva di non intromettersi. Non erano fatti suoi, dopotutto. Ma un’altra voce, ancora più pressante e insistente, le gridava nella testa il proprio coinvolgimento con Sartori. Non poteva certo lavarsene le mani. Viola era la figlia di Andrea, lo stesso uomo che l’aveva fatta godere sui sedili di un’auto e per cui lei ancora spasimava, nelle lunghe notti solitarie.
     Deglutì, senza riuscire a muovere un solo muscolo. Un attimo dopo, la porta dei bagni si spalancò e apparve Jacopo Torre, il collega di inglese. Era trafelato, gli occhi che sembravano schizzare fuori dalle orbite e un’aria colpevole, tormentata.
     Dio mio, non poteva essere!
     Diana non riuscì a resistere alla tentazione di fissargli le labbra, mentre attirava la sua attenzione avvicinandosi. – Ehi, Torre. Anche tu in ritardo?
     Lui trasalì, lo sguardo decisamente colpevole. – Ciao, Ricci. Ho dovuto fare un salto in bagno. E tu?
     Lei esitò. Nessun accenno a Viola e alla sua uscita di scena, solo pochi istanti prima. E anche le labbra di Torre apparivano tumide. Erano labbra che avevano appena finito di baciare, quello era poco ma sicuro. – Io ho avuto una nottataccia. Soffro spesso di insonnia.
     Evitò di dire che era stata colta da una smania incontrollabile: una voglia di sesso che l’aveva lasciata annichilita e ansante. Inutilmente aveva cercato soddisfazione da sola, toccandosi e portandosi a un orgasmo veloce e insoddisfacente. Il solo pensiero la fece avvampare, ma per fortuna Jacopo non lo notò, perso com’era nei suoi pensieri.
     Diana si schiarì la voce. – C’era qualcuno con te, in bagno?
     Un sopracciglio scuro scattò verso l’alto. Jacopo la fissò pallido in volto. – No, perché?
     – Niente. Mi sembrava di aver visto qualcuno uscire di corsa, ma mi sarò sbagliata.
     Lui si passò una mano fra i capelli e le indirizzò un sorriso imbarazzato. – Forse qualche alunno che si è chiuso nei bagni a fumare. Io comunque non ho visto nessuno.
     Diana cominciò a sentire un peso allo stomaco. – Ma sì, sarà come dici tu – fece una pausa, poi aggiunse, come se il pensiero le fosse sopraggiunto all’improvviso: – Come mai non hai usato il bagno dei professori?
     Jacopo si mosse in direzione delle aule, le mani sepolte nelle tasche dei jeans. – Mi sono infilato nel primo che ho trovato, Ricci. Ma la prossima volta farò più attenzione. I cessi dei ragazzi fanno veramente schifo.
     Diana lo osservò avanzare lungo il corridoio con lunghe falcate atletiche. Torre era un bell’uomo, non poteva negarlo. Ma aveva almeno una decina d’anni più di Viola, presumibilmente anche qualcuno di più. Era possibile che…?
     Se Andrea fosse venuto a saperlo sarebbe scoppiato il finimondo e forse era meglio tenerlo all’oscuro. Dopotutto, non aveva nessuna certezza. Ma avrebbe tenuto gli occhi aperti, questo glielo doveva. E poi stava cominciando a prendere a cuore la situazione di Viola, sola, senza una madre che si occupasse di lei.

     Con il cuore in tumulto, si avviò a sua volta verso la propria classe.


Quando la campanella che annunciava la fine delle lezioni risuonò con insistenza, Viola tirò un sospiro di sollievo. Non era stato facile concentrarsi. Non col sapore di Jacopo ancora sulle labbra. Abbordare Stefano davanti ai bagni della scuola si era rivelato un grosso errore. Adesso si sentiva ancora più confusa e incerta.
     Cosa doveva fare? Andare a letto con Scarpati?
Ma come, se in testa aveva un unico uomo? Qualcuno che le faceva contrarre lo stomaco appena con uno sguardo?
– Viola, tutto bene? – le chiese a un tratto Daniela, la fronte corrugata. – Sei strana.
Lei ficcò il diario nello zaino e se lo mise in spalla. – Stamattina ho baciato Scarpati – rispose con un filo di voce. Aveva la gola secca.
– Ma è fantastico! – Daniela le diede una pacca sulla spalla, in un goffo tentativo di incoraggiamento. In realtà, tutto ciò che provava Viola era un profondo imbarazzo.
– Fantastico un accidenti! – Non era da lei imprecare, ma non riuscì a farne a meno. – Dopo è arrivato Jacopo ed è scoppiato un gran casino.
– Si è ingelosito? Dai, non farmi stare sulle spine! Racconta.
Viola non era certa che fosse gelosia quel che aveva provato il professor Torre, vedendola tra le braccia di Stefano. Forse era davvero preoccupato solo del fatto che lì, nel corridoio, tutti potessero vederli. Anche se ancora non riusciva a spiegarsi quel bacio.
Cos’era stato? Una punizione?
Sospirò e uscì dall’aula, seguita da una sempre più curiosa Daniela. – Allora? Vuoi dirmi che è successo?
Viola roteò gli occhi. – Mi ha baciata. Di nuovo.
– Oh, mio Dio! E com’è stato?
Non aveva voglia di raccontarle le emozioni che si agitavano dentro di lei. Anche se Daniela era la sua migliore amica, c’erano cose che desiderava tenere per sé, racchiuse nel proprio cuore. Quel bacio era una di quelle. Affrettò il passo lungo il corridoio e cominciò a scendere le scale. – È un gran casino, Dani. Non ce la farò mai. Non riuscirò a fare sesso con Scarpati.
– Sciocchezze! Andrà tutto alla grande, invece. Se vederti tra le sue braccia ha spinto il professore a baciarti, cosa accadrà quando scoprirà che ci sei andata a letto?
Viola non osava chiederselo. – Non lo scoprirà perché non accadrà mai.
Rovistò nello zaino alla ricerca del cellulare mentre varcava l’uscita dell’edificio scolastico. Il display segnalava un messaggio da leggere. Un messaggio di Jacopo.
Il cuore le balzò in gola all’istante mentre scorreva velocemente le parole, dimenticandosi addirittura di respirare.

“Dove sei? Ti aspetto nel piazzale della scuola.”

Le ginocchia cominciarono a tremare. Ignorando le chiacchiere continue di Daniela, lo cercò con lo sguardo e a un tratto lo vide. Era appoggiato alla fiancata della sua auto, una Peugeot 208 grigio metallizzato, le mani infilate nelle tasche dei jeans. Viola arrossì e mormorò una debole scusa a Daniela.
Gli si avvicinò cauta, i passi che sembravano muoversi al rallentatore. – Volevi vedermi?
Lui sollevò la testa di scatto e lei pensò di non aver mai visto un uomo più affascinante di quello. Il pullover di lana aderiva al suo busto tornito, mettendo ancora più in evidenza i muscoli. Sembrava quasi finto con le spalle ampie, il torace che pareva scolpito nel marmo e le gambe lunghe e atletiche. Non appena la vide, il suo sguardo si fece più intenso. – Sì, ho bisogno di parlarti. È importante. Dai, Sali.



Viola deglutì. Fissò l’auto e poi di nuovo lui. – Dove hai intenzione di portarmi?
– In un posto tranquillo dove potremo parlare. Ti riaccompagno io a casa, dopo. Non ti preoccupare.
Non doveva preoccuparsi? Lei e Jacopo da soli sulla sua auto. Le venivano le palpitazioni al solo pensiero. Dopo un attimo di esitazione, si riscosse. – Okay – disse mentre lui le apriva la portiera della Peugeot. – Ma devo essere a casa al più tardi tra un’ora.
Non era vero niente, ma non intendeva fare la figura della ragazzina disposta a tutto pur di compiacerlo. Aveva il suo orgoglio.
Jacopo annuì. – Promesso.
Si lasciò cadere sul sedile del passeggero, sforzandosi di ignorare il battito frenetico del proprio cuore. L’auto partì a grande velocità, diretta verso le zone collinari. Viola attese che si fermasse in un luogo un po’ appartato, prima di chiedere: – Be’, cosa mi dovevi dire di tanto urgente?
– La professoressa Ricci per poco non ci ha scoperti stamattina, nei bagni – rispose lui infilandosi le mani tra i capelli. – Dobbiamo farla finita, Viola.
– Farla finita? – La voce le uscì alquanto arrochita. – Non mi pare che tra noi sia mai cominciato qualcosa. O sbaglio?
– Viola…
– No, ascoltami. Stefano mi ha chiesto di diventare la sua ragazza e penso che gli dirò di sì.
Lui trasalì, gli occhi che sembravano laghi incandescenti. – Che cosa? Sei impazzita?
– Visto che non posso avere te, ho pensato che fosse meglio frequentare qualcun altro. Non ho intenzione di chiudermi in un convento perché tu non hai le palle per stare con me – Le parole le erano uscite senza controllo, ma adesso che gli aveva vomitato addosso la propria frustrazione si sentiva meglio.
O quasi.
– E così hai deciso di buttarti tra le braccia di Scarpati?
– Non sei stato tu a suggerirmi di fare esperienza?
Jacopo scosse la testa. – Ti sei messa con Scarpati per fare esperienza? – Le lanciò un’altra occhiata di fuoco. – Se è fare esperienza che vuoi…
Non terminò la frase. Fece uno scatto in avanti e le afferrò la nuca per avvicinare le labbra alle sue. La baciò come se non esistesse un domani, con fame, necessità. Viola era stordita dalla voracità di quel bacio. Avrebbe voluto mostrarsi superiore. Negarsi a lui. Invece si ritrovò premuta contro il suo petto a ricambiare il bacio con la stessa passione, le lingue che si sfioravano, lambivano, assaporavano.
Viola ebbe la sensazione che il cuore le stesse schizzando fuori dal petto. Quando Jacopo la lasciò ansimava, le dita aggrappate al suo maglione. Quando le aveva messe lì? Non se ne era nemmeno resa conto. Intanto lui aveva insinuato una mano sotto al suo golfino di cachemire e le stava accarezzando piano lo stomaco, per poi risalire verso l’alto. Un sospiro le uscì dalle labbra dischiuse. – Co-cosa hai intenzione di fare?
– Volevi fare esperienza, giusto? – Il suo tono era duro, brusco. Ma a Viola sembrò la cosa più dolce del mondo.