mercoledì 7 ottobre 2015

SCANDALOSI LEGAMI - VENTICINQUESIMA PUNTATA

*Attenzione!* Per gli argomenti trattati, questo racconto è riservato ad un pubblico adulto.

Viola entrò in casa in punta di piedi. Si era tolta le scarpe per fare meno rumore, ciononostante la  luce si accese all’improvviso e suo padre le si avvicinò, lo sguardo torvo e poco rassicurante. Si appoggiò con la spalla a una colonnina di marmo, le braccia incrociate sul petto. – Dove diavolo sei stata? E perché cazzo non rispondi al cellulare? Ti avrò lasciato una decina di messaggi!
Lei si morse il labbro. – Sei già tornato? Pensavo che saresti stato fuori tutta la notte.
– Non hai risposto alle mie domande, signorina.
Viola sbuffò e roteò gli occhi. – Sono stata a una festa organizzata da alcuni compagni di scuola. C’era musica ad alto volume e non ho sentito suonare il telefono – Evitò di dire che l’aveva silenziato per poter fare l’amore con Jacopo senza interruzioni.
– Per quale motivo non ne sapevo nulla? – Suo padre inarcò un sopracciglio. Era un gesto che faceva sempre quando era irritato, il che non prometteva nulla di buono. Si stava mettendo male.
Calmati, Viola. Qualsiasi cosa lui dica non guasterà la tua felicità.
Si schiarì la voce, lasciando cadere la borsetta su una poltroncina. – Non ti ho detto nulla perché tu mi avresti imposto di tornare a casa prima di mezzanotte, come Cenerentola.
Lui inarcò anche l’altro sopracciglio. Viola si corresse: si stava mettendo molto male. – Ottimo. Adesso mi nascondi le cose? Non mi piace affatto come ti stai comportando, Viola. Adesso fila a letto, ma ne riparleremo. Puoi giurarci.
Lei avrebbe voluto chiedergli che fine avesse fatto il suo appuntamento di quella sera. Non era mai successo che rientrasse così presto, quando si vedeva con una delle sue amichette. La tipa in questione gli aveva dato buca? Ma tutti questi interrogativi rimasero senza risposta. Viola si limitò a obbedire e si chiuse in fretta in camera sua.
Quella notte avrebbe sognato Jacopo, le sue mani che l’accarezzavano ovunque e i suoi baci, carezze vellutate sulla pelle.
Era proprio vero: niente avrebbe guastato la sua felicità. Neppure i rimproveri di suo padre o le sue punizioni.
Si sfilò l’abito da sera in silenzio e lo ripose ordinatamente nell’armadio. Poi si mise davanti allo specchio, cercando di studiare i cambiamenti del proprio corpo.
Si notava che era diventata donna?
I seni erano un po’ più gonfi e doloranti, e fra le gambe si sentiva ancora indolenzita. Viola si sfiorò appena, trattenendo il respiro. Quanto avrebbe voluto che fosse Jacopo a toccarla lì.
Un rossore improvviso le imporporò le guance.
Lui aveva detto che lo avrebbero rifatto. Di nuovo.
Non vedeva l’ora!
Indossò una vecchia maglietta che usava come pigiama e s’infilò nel letto, sotto le coperte. L’indomani avrebbe raccontato tutto a Daniela. L’emozione che provava dentro non poteva tenerla per sé o sarebbe traboccata fino a farla scoppiare.
Sorrise abbracciando il cuscino. Poi spense la luce e si lasciò sopraffare dalla stanchezza.



Andrea non riusciva a dormire. Era incazzato con Viola, con Diana e con se stesso. No, non era esatto. Quello che provava per la professoressa Ricci andava al di là della rabbia o del rancore. Era puro e semplice desiderio.
Con un sospiro, afferrò lo smartphone e compose il numero che ormai conosceva a memoria. Per un attimo pensò che lei non avrebbe risposto, ma dopo un paio di squilli la voce morbida di Diana gli giunse all’orecchio, incendiandogli una volta di più i sensi.
Se bastava la sua voce a farlo eccitare era proprio fottuto.
– Pronto, Andrea sei tu?
– Finalmente ti sei decisa a memorizzare il mio numero.
– Non ce n’è bisogno. Tu sei l’unico che mi chiama a quest’ora della notte.
Lui rise piano, stringendo il cellulare tra le dita e appoggiandosi allo schienale del letto. – Ti ho svegliata?
– No, non dormivo.
Avrebbe voluto chiederle se stava pensando a lui e se era eccitata, ma non voleva entrare in un terreno pericoloso. Dannazione, ce l’aveva ancora duro. Avrebbe dovuto gettarsi sotto l’acqua fredda. Meglio se ghiacciata.
– Cosa stavi facendo?
A quella domanda lei non rispose. La sentì schiarirsi la voce, come se fosse imbarazzata. – Senti, Andrea… mi hai chiamata per qualche motivo in particolare o solo per sapere se ero già a letto.
– Non pronunciare quella parola.
– Quale parola?
– Letto. Se penso a te in un letto, impazzisco. E sono già piuttosto teso per conto mio.
Seguì un’altra pausa silenziosa, infine lei disse: – Che è successo? Problemi con Viola?
Andrea sospirò. – È tornata a casa poco fa. Dice di essere stata a una cazzo di festa coi compagni di scuola.
– Ah, sì. Ne ho sentito parlare a scuola. I ragazzi volevano invitare anche me. Che assurdità! Mi ci vedi in un locale notturno assediata dai miei alunni?
Diana rise, probabilmente per stemperare la tensione, ma lui era sempre incazzato. Molto incazzato. – Il peggio della faccenda è che non mi ha detto nulla. È uscita di casa approfittando della mia assenza e non ne avrei saputo nulla, se non fossi rientrato prima di lei.
– Mi dispiace. Hai voglia di parlarne?
– Avrei voglia di rompere qualcosa. Cazzo, Viola non si è mai comportata così!
– Tua figlia attraversa un’età difficile e credo che…
– Finisci la frase.
Andrea percepì un lieve fruscio, come se Diana si stesse muovendo. Forse aveva cambiato posizione. La sua immaginazione cominciò a lavorare frenetica. Dove si trovava? Sul letto? Era nuda o con quel grazioso babydoll che le aveva visto addosso?
La voce di lei interruppe i suoi pensieri indecenti. – Credo che Viola si sia innamorata di un compagno di classe.
– Credi o te l’ha detto lei?
– A questa domanda non posso rispondere.
Andrea sbuffò. Era preoccupato per sua figlia. Dannatamente preoccupato.
– Pensi che ci abbia fatto sesso?
Il silenzio che seguì lo fece sorridere, malgrado tutto. Immaginò Diana diventare rossa come un peperone. Riusciva quasi a vederla.
– No, non credo. Tua figlia ha la testa sulle spalle. Dovresti avere un po’ più di fiducia in lei. Quando le ho parlato mi è sembrata molto matura, più delle ragazze della sua età.
Lui imprecò sottovoce. – E questo è un bene o un male?
– Andrea, non puoi impedirle di crescere. Lascia che faccia le sue scelte. Le sue esperienze. E sì, anche i suoi sbagli.
– Saresti stata un’ottima madre, sai? Lo disse all’improvviso, quasi senza riflettere, e si accorse di averla spiazzata in qualche modo. – Ehi, ci sei ancora?
– Sì, certo.
– Vorrei che fossi qui. Mi manchi.
– Andrea…
– Lo so, lo so. Dobbiamo smetterla. È questo che stai per dirmi, non è vero?
– È quello che dovrei dirti – fece una pausa. – Ma non è quello che voglio.
Per un attimo fu tentato di chiederle di raggiungerlo, ma non sarebbe stato il caso, con Viola che dormiva nell’altra stanza. – Buonanotte, Diana – disse, infine.

– Buonanotte, Andrea.


– Non posso crederci! – Daniela le lanciò uno sguardo obliquo, smettendo di digitare sullo smartphone. – L’avete fatto sul serio? Tu e il professor Torre?
Viola aprì la bocca e la richiuse di scatto guardandosi attorno; i sensi in allerta e le guance che scottavano per l’imbarazzo. Si trovavano nel piazzale della scuola, proprio davanti al cancello d’entrata. Inutile dire che erano circondati da una marea di studenti chiassosi.
– Sei pazza? Abbassa la voce!
L’amica fece spallucce e ficcò il cellulare nello zaino, dimenticando all’istante la chat su WhatsApp. – Uffa! Chi vuoi che ci senta? Nessuno ci sta prestando attenzione, te lo garantisco. Avanti, racconta!
Lei finse di esaminare un sassolino per terra, sicura che non sarebbe riuscita a parlare guardandola negli occhi. – Oh, Dani… è stato bellissimo! Lui è così dolce e bacia da Dio.
– Non ti ha fatto male? Io la prima volta mi sarei messa a urlare per il dolore.
– Solo un po’. Insomma, pensavo peggio. E comunque, prima di penetrarmi mi ha fatta venire. Sai, con le dita.
Arrossì ancora e si mise a frugare nello zaino, fingendo di cercare qualcosa di fondamentale importanza.
– Cavolo, come ti invidio! Deve saperci fare davvero. Be’, ma d’altra parte lui è un uomo, non un ragazzino sfigato come quelli che frequentano questo liceo.
Viola stava per replicare, quando la voce di Scarpati le fece sollevare la testa di scatto. – Eccoti qui! Dove cazzo sei finita ieri sera?
Merda.
Si era proprio dimenticata di Stefano. Lo aveva mandato a prenderle da bere al bancone del bar e poi era sparita con Jacopo, senza pensare minimamente a lui. Si morse la lingua, assumendo un’espressione dispiaciuta.
– Scusami, Stefano. Non sono stata bene e il professor Torre mi ha riaccompagnata a casa. Deve avermi fatto male qualcosa che ho mangiato a cena, perché ho vomitato tutta la notte.
Lui fece una smorfia di disgusto. – Potevi mandarmi un messaggio, almeno. Ti hanno vista ballare insieme al prof e poi sei sparita. Nessuno sapeva dove fossi finita.
– E quando te lo mandavo il messaggio? Tra una vomitata e l’altra? Sono stata sul punto di svenire!
Daniela trattenne una risatina e lei le diede una gomitata in un fianco. Ci mancava che si mettesse a ridere, rovinandole la recitazione migliore di tutta la sua vita. Doveva ammetterlo: era un’attrice nata.
Scarpati spostò il peso da un piede all’altro e tossicchiò. – Ero preoccupato.
– Mi spiace, Stefano.
In un certo senso non era una bugia. A Viola dispiaceva davvero per lui e non era fiera di averlo usato per ingelosire Jacopo. Tutte quelle storie sul fatto che il fine giustifica i mezzi non le aveva mai credute. Ciononostante, non era pentita. Quello che aveva provato tra le braccia di Jacopo era in grado di scacciare ogni altro pensiero, ogni timore, ogni rimorso.
Esisteva solo lui, il suo corpo nudo e muscoloso che si muoveva sul proprio.
Avvampò di nuovo, il che giocò a suo favore. Stefano le credette e abbozzò un sorriso. – Okay, tutto sistemato. Quando possiamo vederci? Io e te da soli, intendo.
A una simile domanda Viola non era preparata. Quasi si strozzò con la sua stessa saliva. Guardò l’orologio al polso, alla ricerca disperata di un’idea. – Accidenti, sono le otto passate! Dobbiamo salire in classe. Ti chiamo io, d’accordo?
Lui esitò, ma Viola non gli diede il tempo di aggiungere altro che era già schizzata via, seguita da Daniela con le lacrime agli occhi per le risa trattenute.
– Lasciatelo dire, Viola – esclamò l’amica mentre si lanciavano su per le scale. – Tu sì che sai raccontare palle. Sei eccezionale.
A quel punto anche a lei scappò da ridere, ma soffocò le risate con la mano. In fretta, varcarono la porta dell’aula, prima che arrivasse l’insegnante della prima ora.


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