domenica 2 ottobre 2016

OLTRE I CONFINI DEL TEMPO - TREDICESIMA PUNTATA

CAPITOLO 13


S
ara fu svegliata all’alba da un’agitatissima Gina, che correva per la stanza come un fulmine, trasportando abiti, corsetti e sottogonne da farle indossare. Pareva indemoniata, il che la fece ridacchiare sottovoce.
     Si sollevò su un gomito, sull’enorme letto a baldacchino. – Che diavolo ti prende?
     Gina sospirò, alla disperata ricerca di qualcosa. – Dobbiamo sbrigarci. La signora contessa vi aspetta in salone fra non più di venti minuti!
     La prima cosa che notò fu il fatto che la sua amica fosse tornata a rivolgersi a lei dandole del “voi”. – Non si era deciso di darci del “tu”? – chiese, aggrottando la fronte e balzando giù dal letto con un salto. L’elegante e morbido tappeto ai suoi piedi attutì la discesa, donandole una sensazione di confortante calore.
     Gina tirò fuori dall’armadio un cappellino da passeggio e tornò a fissarla sconcertata. – Oh, ma la situazione è cambiata! Non posso rivolgermi in tono tanto informale alla futura contessa.
     – Neppure se te lo chiedo io?
     Lei non si lasciò sviare e proseguì la sua ricerca, fintanto che non ebbe trovato il paio di stivaletti che evidentemente desiderava farle indossare. A Sara pareva davvero buffo lasciarsi vestire come una bambola. Era abituata a scegliere lei stessa cosa indossare e cosa no. Alzando gli occhi al cielo, si tolse la camicia da notte e la gettò sul letto, lo sguardo leggermente accigliato. Gina fu subito accanto a lei per aiutarla a indossare la biancheria intima: corsetto, sottogonne… avrebbe dato qualsiasi cosa per un paio di slip e un reggiseno della Wonderbra!
     Alla fine venne abbigliata con un vestito a vita alta dalla scollatura generosa e per ovviare all’inconveniente le fu appuntato un piccolo scialle di seta sulle spalle. L’abito era color rosa pallido, con polsini di pizzo bianco. Così conciata sembrava davvero una bambola!
     Per non parlare del cappellino in tono con l’abito, che le fu adagiato sul capo. I capelli invece le furono pettinati in un rigido chignon, da cui spuntavano alcuni ciuffi debitamente arricciati col ferro caldo.
     Era ridicola.
     – Ancora non mi hai spiegato perché la contessa mi sta aspettando – Si sistemò con un gesto impaziente il cappellino che le pendeva da un lato e sbuffò. Gina le stava porgendo un ombrellino da passeggio che la fece rabbrividire.
     No, l’ombrellino no!
     – Allora? Vuoi rispondermi?
     – Non lo ricordate? Stamattina vi accompagnerà dalla sarta. Non siete emozionata all’idea di farvi confezionare un abito da sposa?
     Sara si rabbuiò. Se ne era totalmente dimenticata! E l’idea di andare in giro a braccetto con la futura suocera non la solleticava affatto, tanto più per scegliere il proprio abito da sposa. Aveva sempre pensato che, quando fosse giunto il giorno delle sue nozze, sarebbe stata sua madre ad accompagnarla a fare compere, non certo quell’arpia. Ma doveva fare buon viso a cattiva sorte, se non altro per compiacere Giulio.
     – E va bene – rispose con un sospiro. – Andiamo incontro al patibolo!

* * * * * * * * * *

La bottega della sarta si trovava nel centro della città, a poca distanza da un enorme palazzo signorile che la contessa le indicò come la dimora dei Galeota. A Sara sembrò di averlo già visto nella sua epoca, quando aveva girato per le vie di Taranto con la sua classe. Se non sbagliava, la Baldini aveva affermato che all’interno ospitava il museo etnografico “Alfredo Majorano”. Faceva uno strano effetto rendersi conto che in quel momento era abitato, proprio come la residenza dei conti Nardò.
     Con aria rassegnata si lasciò condurre attraverso le vie non asfaltate, fino a un elegante negozio che dava su una delle strade principali. Appesi a dei manichini di legno, esposti nella grande vetrina della sartoria, vi erano un paio di vestiti simili a quello che era stata costretta a indossare. Si augurò che i modelli degli abiti da sposa fossero di gran lunga migliori. Se proprio doveva indossarne uno, preferiva che fosse un capo elegante e raffinato.
     Un campanello collegato alla porta suonò al loro ingresso, facendola sobbalzare. Era decisamente tesa. La contessa le lanciò uno sguardo di disapprovazione, prima di salutare con un cenno del capo la commessa che era accorsa per servirle e che si stava prodigando in un inchino.
     – Buongiorno signora contessa, in cosa possiamo esservi utili?
     Lei sorrise indulgente, la mano destra serrata sul ventaglio che si portava sempre dietro come antidoto alla calura di inizio estate. Sara avrebbe scommesso che si sarebbe volentieri mangiata la lingua piuttosto che ammettere che erano lì per scegliere il suo abito da sposa. La osservò in tralice, trattenendo un sorrisino.
     – La fanciulla che mi accompagna ha urgente bisogno di un corredo per le sue imminenti nozze con mio figlio. E naturalmente dobbiamo scegliere un abito da sposa.
     La commessa si voltò a esaminarla da capo a piedi, sul volto un’espressione sorpresa. – Oh, congratulazioni, signorina! – esclamò con un sorriso gioviale. – A quando le nozze?
     Sara arrossì. Non le era mai piaciuto sentirsi al centro dell’attenzione. – Ehm, la prossima settimana, se riusciremo a ottenere una licenza speciale.
     La ragazza sgranò gli occhi e impallidì. – Oh, cielo! Non c’è tempo a sufficienza per confezionarvi un abito alla moda!
     Lei scrollò le spalle. – Non importa. Sarà una cerimonia semplice e non ho bisogno di qualcosa di elaborato – lanciò un’occhiata distratta ai manichini esposti nel negozio, mentre sentiva gli occhi della commessa indugiare su di lei, sempre più curiosi. Qualcosa le diceva che affrettare le nozze in quel modo non era considerato assai lusinghiero a quei tempi. Le parve di leggere un moto di disapprovazione negli sguardi delle altre clienti che avevano ascoltato i loro discorsi. La contessa invece aveva un sorrisino soddisfatto stampato su quella sua faccia da iena.
     Sara raddrizzò la schiena e imitò un’andatura regale, simile a quella delle gentildonne che aveva avuto modo di osservare dal giorno del suo arrivo a Taranto. Si avvicinò a uno dei modelli esposti, un abito color crema di fattura piuttosto semplice, ma a suo parere elegante e di gran fascino. – Ecco, mi piacerebbe qualcosa di simile – lo indicò, voltandosi appena in direzione della commessa.
     Lei corrugò la fronte. – Non desiderate qualcosa di più colorato che dia un po’ di luce al vostro incarnato? Abbiamo diversi modelli sui toni del verde o dell’azzurro.
     – Ho sempre sognato di sposarmi in bianco, l’abito color crema andrà più che bene.
     La contessa si schiarì la voce, indubbiamente contrariata. C’era qualcosa in quel che faceva che andasse a genio a quella donna? Le lanciò uno sguardo perplesso che lei ricambiò con sdegno. – Il bianco o il crema non si adatta per niente alla tua carnagione, Sara. Accetta i consigli di chi ha più esperienza di te.
     Ah, no. Questo è troppo!
     I suoi occhi si ridussero a due fessure, ricolme di indignazione. – Non ho chiesto se mi sta bene. Voglio l’abito crema.
     Il volto della futura suocera si tinse di rosso fino alla radice dei capelli. Sara ebbe l’impressione di vederle gli occhi schizzare fuori dalle orbite mentre replicava, gelida: – Come osi, piccola intrigante? Non ho intenzione di permettere che tu faccia sfigurare mio figlio e la nostra famiglia, il giorno delle nozze. Indosserai un abito degno dei Nardò.
     Quella donna era pazza. Sara aggrottò la fronte, grattandosi la punta del naso. – Sono io che mi sposo e vorrei scegliere da sola l’abito dei miei sogni. Su questo punto non transigo e non credo che Giulio sarebbe contento di sapere che voi vi siete intromessa in quella che dovrebbe essere una mia scelta.
     La contessa strinse il ventaglio quasi fino a spezzarlo, probabilmente desiderando che fosse il suo collo. – Ti credi di essere già la padrona, non è vero? – sibilò, fissandola con odio. – Solo perché sei riuscita a incantare mio figlio con le tue moine…
     – Adesso basta! – Sara era davvero infastidita. Puntò i piedi per terra, le mani strette sui fianchi in atteggiamento di sfida. Non le importava delle persone intorno a loro che stavano sgranando gli occhi allibite, bisbigliando fra loro. – Se non potrò avere l’abito che desidero, mi sposerò coi vestiti che avevo quando sono arrivata qui. Non indosserò qualcosa di pacchiano e ridicolo solo per farvi piacere.
     La vide tremare come se cercasse di contenere la rabbia, ma alla fine cedette. – E sia – concesse con una tale furia nello sguardo da incendiare un’intera foresta. – Vada per l’abito crema.
     Sara sorrise soddisfatta. – Bene.
     Il resto della mattinata passò in fretta, fra prove di abiti, biancheria intima, scarpe e quant’altro. Alla fine risultò quasi divertente, come quando nel ventunesimo secolo usciva con le amiche a fare shopping. Si accorse solo in quel momento che non avrebbe potuto condividere quel momento con nessuna di loro. Non avrebbero neppure saputo del suo matrimonio o del fatto che si era innamorata e stava provando qualcosa di molto simile alla felicità. Ricacciò indietro le lacrime e si costrinse a sorridere. Non voleva pensarci ora e rovinare uno dei momenti più importanti della sua vita.




* * * * * * * * * *

Quando uscirono dal negozio era ormai quasi l’ora di pranzo e lo stomaco di Sara cominciò a brontolare poco dignitosamente. Attraversò la strada, guardandosi attorno con attenzione per non finire travolta da una carrozza, e precedette la futura suocera che stava arrancando dietro di lei, agitando il ventaglio sul viso accaldato.
     Fu in quel momento che lo vide. Un ragazzo dal viso fin troppo familiare camminava con la schiena ricurva, vestito con una maglietta nera e un paio di jeans sdruciti. Stava cercando di farsi notare il meno possibile, ma gli sguardi incuriositi delle persone attorno a lui lo seguivano come dei radar. Sarebbe stato impossibile non accorgersi di lui.
     – Mario! – esclamò Sara a voce alta, il cuore che le batteva contro le costole. Non riusciva a crederci. Era anche lui lì? Forse c’era qualcun altro della loro classe perso nel tunnel del tempo? Lui si voltò all’istante, sul viso un’espressione intimorita e allo stesso tempo sorpresa. Sbatté le palpebre un secondo, prima di riconoscerla e cambiare direzione per raggiungerla. Ma in quello stesso istante una mano le arpionò il braccio come una morsa.
     – Sei per caso impazzita? – le alitò in faccia la contessa. – Vuoi dare spettacolo in mezzo alla strada?
     Stava per ribattere che conosceva quella persona, ma lei non le diede il tempo. La trascinò, incurante delle sue urla di protesta, fino alla carrozza che li attendeva dall’altro lato della strada. La sospinse all’interno e Sara si ritrovò a cadere sul sedile imbottito, senza alcuna possibilità di fuga. Lo sportello della vettura si chiuse dietro di lei mentre il cocchiere faceva partire i cavalli. Sara mise la testa fuori dal finestrino, cercando Mario con lo sguardo. Provava qualcosa di molto simile al panico. Lo vide fissarla allibito e rincorrere la carrozza per un po’, ma i cavalli erano troppo veloci e dovette desistere.
     Lacrime pungenti le offuscarono la vista e le scacciò con un gesto rabbioso della mano. Maledizione, l’aveva perso! Quello era l’unico contatto con la sua vecchia vita e non aveva la più pallida idea di come rintracciarlo. Ricadde sul sedile con una sensazione di gelo nelle ossa, nonostante la temperatura esterna sfiorasse, a occhio e croce, i trenta gradi.
     Doveva fare qualcosa per mettersi in contatto con lui. Ma cosa?

* * * * * * * * * *

Giulio entrò nel suo studio con alcuni libri mastri da esaminare. Aveva trascurato le sue proprietà e le terre dei Nardò troppo a lungo, ma aveva intenzione di rimediare. Solo che per farlo, avrebbe dovuto capirci qualcosa del lavoro svolto dal proprio amministratore.
     Sospirò, sollevando lo sguardo, e quasi rimase impietrito nel vedere Sara raggomitolata sulla sua poltrona, gli occhi rigati di lacrime. – Cosa è successo? – chiese, posando all’istante i libri che aveva sottobraccio. Si inginocchiò ai suoi piedi, cauto. Con Sara non sapeva mai come comportarsi. Poteva irradiare dolcezza, fare le fusa come una gatta oppure esplodere come un fuoco d’artificio.
     Lei tirò su col naso, pulendosi con la manica del vestito. – Niente. Solo un po’ di malinconia.
     Gli occhi di Giulio si addolcirono. – Mia madre è stata troppo dura con te? Ho sentito dire che avete avuto un diverbio per la scelta del tuo abito da sposa.
     Sara annuì, l’aria un po’ depressa. – Voleva scegliere al posto mio, ma io non gliel’ho permesso. Immagino che sia piuttosto in collera.
     Lui allungò una mano per sfiorarle i capelli. Alcuni riccioli ribelli le erano sfuggiti dall’acconciatura, donandole un’aria disordinata e incredibilmente sensuale. Deglutì, incapace di distogliere lo sguardo. – Non badare a mia madre. È sempre stata abituata a dirigere tutti noi con la bacchetta, ma dopo le nozze sarai tu la contessa, l’unica padrona di questa casa e del mio cuore.
     – Questo dovrebbe tranquillizzarmi? – Sara fece un sorriso timido che gli fece provare una strana sensazione, molto simile all’affetto.
     – Non saprei. Tu cosa ne dici?
     Lei scrollò le spalle. – Non ne so nulla di come si conduca una casa come questa né di come si organizzino ricevimenti o di come si mandino gli inviti per il tè alle famiglie aristocratiche della città. Tutto sommato, non credo che tu faccia un buon affare sposandomi.
     Giulio si lasciò sfuggire una risatina. – Ti confesso una cosa: io odio i ricevimenti e i raduni delle signore dell’alta società. Per tutto il resto c’è Matilde, la nostra governante. Saprà consigliarti al meglio, vedrai.
     – Quindi non sei pentito della tua scelta? – Sara inarcò un sopracciglio in un modo che gli parve buffo e dolcissimo allo stesso tempo. Si avvolse un suo boccolo attorno al dito, fingendo di riflettere.
     – Uhm, vediamo…hai detto che non sai organizzare ricevimenti o scrivere inviti… immagino che tu non sappia neppure come ci si comporta in società, giusto?
     Lei scosse il capo, facendo danzare i suoi riccioli attorno al viso a forma di cuore. – Assolutamente no.
     Giulio si finse sempre più perplesso. – E che non sai cavalcare già lo so.
     – Detesto i cavalli – ammise lei, sincera. Era bellissima mentre lo fissava con quell’ingenuità disarmante che lui sapeva trasformarsi in pura passione solo per un suo tocco.
     Le afferrò la nuca con la mano, attirandola più vicino. – Dimmi allora, cosa sai fare per essere una sposa degna di questo nome?



     Le loro labbra erano così vicine che Giulio provò un tale desiderio da rendergli difficile anche solo respirare. Infine Sara lo baciò. Un bacio lieve, appena uno sfioramento di labbra che tuttavia si intensificò, incendiandogli i sensi in modo devastante.
     Dio mio, se sapeva baciare!
     La sua lingua si insinuò all’interno della bocca di lui e il suo sapore dolce gli diede alla testa.
     – So fare questo – mormorò, le guance leggermente arrossate. – So che non è molto, ma…
     Lui si schiarì la voce. Non era sicuro di riuscire a proferire parola, prima doveva ricordarsi di respirare. – Cielo, Sara… mi stai uccidendo, lo sai?
     – Era solo un bacio – ridacchiò, scostandosi un ciuffo dalla fronte.
     – Solo un bacio? – le fece eco lui, afferrandole la mano candida e posandosela sull’inguine. – Guarda cosa mi ha fatto il tuo bacio.
     La vide diventare di un rosso scarlatto davvero delizioso. – Wow! Il tuo amico qui è già sull’attenti.
     Giulio la fissò traboccante di passione. – Non credo di riuscire a resistere per un’intera settimana.
     Lei assunse un’aria pensosa e allo stesso tempo birichina. – Sei sicuro che dobbiamo restare in astinenza completa fino alle nozze? Non possiamo concederci neanche un po’ di petting? – Si morse il labbro in maniera provocante, suscitandogli un brivido lungo la schiena.
     Giulio ansimò. – Cos’è che non possiamo concederci? Temo di non capire…
     – Ehm, petting… come dite voi? Preliminari? Le coccole che precedono l’atto sessuale?
     Ebbe la sensazione che l’aria gli fuoriuscisse dai polmoni. Dio mio, aveva capito male o gli stava proponendo di… – Sei una strega tentatrice, lo sai? No, niente preliminari. Ai fidanzati non è concesso nulla di più di qualche bacio rubato.
     Sara sbuffò con aria un po’ comica. – Che palle! – disse, facendogli corrugare la fronte. Ecco che se ne usciva di nuovo con quelle sue frasi bizzarre. Tuttavia, era decisamente adorabile.
     – Dunque ti è passata la malinconia? – le chiese, sforzandosi di cambiare argomento. Si stavano addentrando in un terreno pericoloso e il suo uccello era già fin troppo teso e dolorante.
     Lei sorrise e si alzò. – Sì, va molto meglio ora. Ti lascio lavorare.
     E chi sarebbe riuscito a lavorare ora? Ma non disse nulla. Si limitò a fissarla mentre si allontanava, dondolando quel suo irresistibile fondoschiena. A quel punto quel che gli serviva era un bel bagno nell’acqua gelata. Forse due.



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