domenica 24 dicembre 2017

martedì 19 dicembre 2017

MILLE NOTTI DI TE E DI ME SU KINDLE UNLIMITED

Ciao carissimi,
vi informo che ora Mille notti di te e di me è disponibile anche su Kindle Unlimited. Chi è abbonato al programma, potrà leggerlo gratis su Amazon.

https://www.amazon.it/dp/B01MT8QJ5S/


venerdì 1 dicembre 2017

TUTTO PER TE - LA SINOSSI

Finalmente ho la sinossi di Tutto per te (spero sia quella definitiva). Curiosi? Ebbene, eccola!

Il giorno del matrimonio di una sua amica, Fiamma finisce a letto con Massimo, un affascinante agente letterario. Nessuno dei due vuole iniziare una storia, le loro vite prendono perciò strade diverse, finché Fiamma non si presenta nel suo ufficio per comunicargli che è incinta. All'inizio Massimo la prende male, chi gli assicura che quel figlio sia suo? Ma poi, riflettendoci, pensa di poter sfruttare la situazione a proprio favore: suo zio da tempo lo assilla perché si sposi. Massimo allora propone a Fiamma un accordo: lui la sposerà, ma si tratterà di un matrimonio di facciata. Lei accetta e così i due partono alla volta dell'Inghilterra, per raggiungere la famiglia di Massimo. Quello che Fiamma non sa è che la famiglia di Massimo ha origini aristocratiche ed è tutt'altro che ben disposta ad accoglierla come sua moglie...

Vi ricordo che il romanzo sarà in vendita a marzo. Continuate a seguirmi, se volete delle anticipazioni.


martedì 14 novembre 2017

TUTTO PER TE - MASSIMO

Chi ha letto Mille notti di te e di me già lo ha conosciuto. Massimo. L'aitante agente letterario. Ebbene, lo troverete come protagonista del mio nuovo romanzo.
Volete sapere qualcosa di più su di lui?
Tanto per cominciare, possiamo svelare un suo segreto: Massimo è qualcosa di più di un semplice agente letterario. In realtà appartiene a una famiglia aristocratica inglese che si aspetta da lui un sontuoso matrimonio con una donna degna delle sue origini blasonate, affinché possa mettere al mondo un erede al casato.
E se lui, invece, si prendesse una sbandata per una bella cameriera dai capelli biondi, all'apparenza volgare e superficiale?
Come la prenderebbe la sua famiglia di sangue blu?
Be', potete immaginarlo.
Troverete questo e molto altro in Tutto per te, in arrivo a marzo 2018.


venerdì 10 novembre 2017

SCANDALOSI LEGAMI - PRESTAVOLTO

Tempo fa mi sono divertita a creare delle card coi prestavolto di Scandalosi legami. Volete vederle? Eccole. ;-)





giovedì 2 novembre 2017

TUTTO PER TE - FIAMMA

Carissimi amici, continuiamo con le anticipazioni di Tutto per te, che uscirà a marzo 2018. Se avete letto Mille notti di te e di me, ricorderete il personaggio di Fiamma, giusto? Bene, sarà proprio lei la nostra nuova protagonista.
Ma chi è realmente Fiamma?
Senza ombra di dubbio è una ragazza schietta, senza peli sulla lingua. A volte le sue frecciate la metteranno in situazioni imbarazzanti, specie con Massimo, con cui avrà un rapporto tutto pepe (e non aggiungo altro).
È anche una persona sincera, molto legata alla sua amica Eva, che per lei è come una sorella. Della sua vera famiglia preferisce non parlare; i suoi genitori sono sempre stati assenti e lei ha dovuto imparare a sbrigarsela da sola molto presto.
Fiamma lavora in un bar a Genova, la città in cui vive. È sempre a corto di soldi, tuttavia è una ragazza solare, sempre allegra. La classica persona che vede il bicchiere mezzo pieno. Essendo molto istintiva, ha la tendenza a mettersi nei guai. Ed è infatti a causa di un guaio enorme, causato dalla sua impulsività, che ha inizio questa storia... ma forse vi sto raccontando troppo!
Per sapere di che guaio si tratta dovrete pazientare ancora un po'.
A presto!


sabato 28 ottobre 2017

SCRIVERE ROSA DI EDY TASSI - SEGNALAZIONE

Ciao a tutti,
oggi vorrei segnalarvi un manuale di scrittura interamente dedicato al genere romance. L'autrice è Edy Tassi, nota scrittrice e traduttrice che, sfruttando la sua esperienza, ci svela i segreti e le tecniche dello "scrivere rosa".
Una lettura da non perdere, se nutrite il sogno di scrivere un romanzo d'amore, ma non sapete da dove iniziare.


lunedì 23 ottobre 2017

TUTTO PER TE - L'AMBIENTAZIONE

Ciao a tutti,
vi avevo promesso qualche anticipazione sul romanzo che uscirà a marzo, giusto? Ebbene, oggi vi parlerò dell'ambientazione.
La storia di Fiamma e Massimo si svilupperà tra Genova e il Sussex, una contea in Inghilterra. Precisamente i nostri personaggi soggiorneranno a Buckhurst Park, la tenuta dei conti De la Warr.
Una piccola curiosità: questa tenuta esiste realmente, mi ci sono ispirata per la mia ambientazione e me ne sono anche un po' innamorata.


Buckhurst Park si trova per l'esattezza nell'East Sussex, nella campagna inglese. Si tratta del luogo in cui è cresciuto il nostro protagonista; una tenuta di antiche origini, appartenente a una famiglia aristocratica che vanta tra i suoi antenati un cugino da parte di madre della regina Elisabetta I d'Inghilterra.
Niente male, eh? ;-)


Questa antica tenuta ha l'aspetto di un castello ed è circondato da fantastici giardini e un immenso parco con ben quattro laghi dove è possibile pescare. Nella realtà, la tenuta si può prenotare per eventi come matrimoni, seminari o meeting. Inoltre ospita molti animali da fattoria, tra cui pecore, maiali e pony di razza.


Allora, vi siete innamorati anche voi di questo posto? Spero proprio di sì.

sabato 14 ottobre 2017

NEWS - IN USCITA A MARZO

Ciao a tutti,
vi segnalo una novità: a marzo uscirà il mio prossimo romanzo, edito da Newton Compton Editori. Il titolo sarà TUTTO PER TE e avrà per protagonisti due personaggi che, chi ha letto Mille notti di te e di me già conosce.
Sto parlando di Fiamma e Massimo.
Pronti a leggere la loro storia? Lo so, manca ancora un po' all'uscita, ma nel frattempo cercherò di postare alcune curiosità sul romanzo e sui suoi personaggi. Quindi, restate sintonizzati sui miei canali.
A questo proposito, vi ricordo che mi trovate sulla mia pagina Facebook, qui:

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A presto!


lunedì 2 ottobre 2017

L'UOMO DEI SOGNI - INCIPIT

Ciao a tutti,
oggi vi parlerò di una novella (o romanzo breve) dal titolo L'uomo dei sogni. L'idea di scrivere questa storia mi venne nel periodo natalizio, un bel po' di anni fa. Mi era stato chiesto un racconto per il blog di un'amica e così scrissi la parte iniziale, che in effetti è ambientata durante la notte di San Silvestro.
Qualche anno dopo, tuttavia, pensai di ampliare la storia e dare più spessore ai miei personaggi regalando loro una storia d'amore coi fiocchi. Nacque così L'uomo dei sogni.
Ecco a voi l'incipit. Buona lettura!


Imbucarsi a una festa non è mai una buona idea. E se la festa in questione è il cenone di San Silvestro, nel lussuoso albergo in cui lavori come cameriera, allora è una pessima idea. Ma come ho fatto a lasciarmi convincere? Avrei dovuto inventarmi una scusa: un feroce mal di testa, un parente in fin di vita … qualsiasi cosa pur di evitare un disastro e un probabile licenziamento.
     Mentre cammino per la sala con aria circospetta ho la sensazione che tutti stiano guardando me. Tra un minuto qualcuno indicherà nella mia direzione urlando: – Ma quella non è una delle cameriere? Cosa ci fa al ricevimento dei VIP? E perché non indossa la sua uniforme? Verrò smascherata all’istante!
     Mi avvicino a Brenda, la mia migliore amica. – Spiegami ancora perché siamo qui – le bisbiglio all’orecchio. Lei scuote la massa di ricci castani che porta sciolti sulle spalle e alza gli occhi al cielo.
     – Te l’ho già ripetuto mille volte. James Wood parteciperà al ricevimento e io devo chiedergli un autografo.
     – E tu per un autografo metti a repentaglio il nostro posto di lavoro? Sai che verremo licenziate in tronco se ci beccano, vero?
     Brenda mi guarda come se all’improvviso mi fossero spuntate due teste. – Ma hai capito che James Wood è qui, in questa sala?
     – Sì, l’ho capito. E allora?
     Non comprendo tutta questa agitazione per un attore di soap opera. Io nemmeno le guardo le soap!
     – E allora? James Wood è l’uomo dei sogni! È l’idolo di tutte le donne. Come fai a startene così tranquilla quando lui è nelle vicinanze?
     Adesso sono io ad alzare gli occhi al cielo. – Come fai tu a restare così tranquilla dopo quello che abbiamo fatto? Abbiamo rubato degli abiti da sera in lavanderia e ci siamo imbucate a una festa dove solo le personalità importanti sono state invitate. Ci scopriranno subito: io e te siamo come pesci fuor d’acqua qui dentro!
     – Parli così solo perché non l’hai mai visto! – Brenda mi fissa un po’ imbronciata, mentre scruta l’intera sala alla ricerca del suo idolo. – Se avessi visto anche solo una puntata di Passione Selvaggia, allora saresti pronta a sacrificare persino la tua vita per un suo autografo.
     Sarà, ma sono un po’ scettica in proposito. Per quanto belloccio possa essere, di certo non giustifica il rischio che stiamo correndo. Tuttavia, decido di tenere la bocca chiusa e assecondare Brenda. – Dividiamoci – mi suggerisce all’improvviso. – Avremo più possibilità di trovarlo.
     Vorrei farle presente che io non ho la minima idea di come sia fatto, ma lei è già schizzata via verso il tavolo del buffet e, poiché non ho assolutamente intenzione di mischiarmi a tutta quella gente che sta sgomitando per impossessarsi di una tartina al caviale, io prendo la direzione opposta. Fingendo indifferenza mi avvio spedita verso la terrazza. Lì fuori rischierò di congelarmi, ma la morte per assideramento è preferibile all’umiliazione pubblica a cui andrei incontro, se venissi riconosciuta da qualcuno del personale dell’albergo.
     Per fortuna la porta finestra è aperta. Scivolo all’esterno, facendo attenzione a non inciampare sui tacchi a spillo, ma all’improvviso mi blocco: non sono la sola ad aver scelto l’intimità della terrazza; un uomo è lì fuori, appoggiato alla balaustra di marmo. Sentendo i miei passi, si volta lentamente e io mi ritrovo a fissare gli occhi più azzurri che abbia mai visto in vita mia. Per un attimo perdo ogni cognizione del tempo e dello spazio e mi metto a boccheggiare, in cerca di ossigeno.
     Intanto, lo sconosciuto ricambia il mio sguardo gelidamente, quasi con disprezzo. Evidentemente non desiderava essere disturbato.
     – Ehm, chiedo scusa. Non intendevo interrompere le sue riflessioni.
     Ma cosa sto dicendo? Mi è andato in pappa il cervello? Arrossisco come una collegiale, guadagnandomi un’altra occhiataccia da parte di Occhioni azzurri. Del resto me la sono andata a cercare. Devo aver vinto il premio per la frase più stupida dell’anno!
     – Stava cercando me? – la sua voce è distaccata, quasi fredda. Non deve essere un tipo molto cordiale, questo è certo.
     Abbozzo un sorriso imbarazzato. – No, desideravo solo prendere una boccata d’aria. Non immaginavo che ci fosse qualcun altro, a parte me, che ama congelare in terrazza.
     Lui solleva le sopracciglia, in un gesto che lo rende ancora più freddo. A questo punto non so se sia più gelido il clima invernale di New York oppure l’uomo che ho di fronte.
     – Ne è sicura? – mi chiede dubbioso, mentre si appoggia con la schiena alla balaustra e incrocia le braccia sul petto.
Io mi lascio sfuggire una risatina nervosa. Questa conversazione è assurda!
     – Certo che ne sono sicura! Cosa potrei volere da lei, visto che non la conosco?
     – Lei non sa chi sono?
     Adesso Occhioni azzurri sembra quasi incredulo. Si passa una mano fra i riccioli biondo scuro che gli scivolano in morbide onde sulla fronte e intorno al viso, fino a coprirgli in parte le orecchie.
Per un attimo mi chiedo se ho commesso una gaffe e vengo assalita dal terrore che lo sconosciuto mi abbia riconosciuta. Forse è un ospite dell’albergo e ci siamo incrociati da qualche parte? Non è possibile. Un tipo così me lo ricorderei.
     – Ehm, dovrei? – domando titubante.
     Una risatina roca gli esce dalla gola. – Lei ferisce il mio orgoglio, signora.
     – Non capisco…
     – Lasci perdere. Non ha importanza.
     La sua voce è profonda e ben modulata. Mi accorgo di essere assalita da un brivido, mentre lo sto ad ascoltare.
     – Ma lei sta morendo di freddo! – esclama lo sconosciuto, facendo un passo verso di me. Mi posa una mano sul braccio e il mio cuore perde un battito. – Venga, l’accompagno dentro. Non è la serata ideale per restare in terrazza in abito da sera.
     Come mai all’improvviso è così cordiale? Un attimo prima sembrava che volesse uccidermi da un momento all’altro! Sto per seguirlo, come ipnotizzata, quando mi ricordo il motivo che mi ha spinta a uscire dalla sala dei ricevimenti.
     – No, la prego. Preferisco restare fuori. Non amo molto la folla.
     La sua presa si fa più forte. Sento sul braccio il calore della sua mano che mi provoca un piacevole formicolio. Cosa mi sta succedendo? Erano secoli che non mi sentivo così attratta da un uomo.
     – La capisco. Anch’io sono venuto qui fuori in cerca di un po’ di tranquillità, ma forse possiamo trovare un posto dove rifugiarci senza morire assiderati. Mi segua.
     I suoi occhi sono intensi e penetranti, non riesco a controbattere. In realtà non capisco più niente e lo seguo docilmente, come un animale addestrato. Attraversiamo in fretta la sala. Sembra che lui abbia compreso all’istante la mia paura di farmi notare perché quasi mi trascina, correndo, verso l’uscita. Una volta nel corridoio, guarda a destra e poi a sinistra, finché non scorge una porta chiusa a pochi passi di distanza. Sempre tenendomi per mano si avvia in quella direzione e apre la porta che, per fortuna, non è chiusa a chiave.
     – Lei è completamente pazzo! – protesto, non appena mi rendo conto che quello è l’ufficio del direttore dell’albergo. Sono caduta dalla padella nella brace. Se mi trovano qui dentro con uno degli invitati al ricevimento, per me è finita.
     Lo sconosciuto chiude la porta alle nostre spalle e mi fa segno di tacere.
     – Shhh, non si preoccupi.
     Ha assunto un’aria da brigante che gli dona un fascino irresistibile. Dovrebbe essere proibito essere così belli, penso mentre la mia volontà vacilla.
     – Ma questo è l’ufficio del direttore – mormoro, riacquistando un briciolo di lucidità. – Non è permesso l’ingresso agli estranei.
     – Ma noi non lo diremo a nessuno, non è così?
     Mi strizza l’occhio e io non riesco a trattenere un sorriso. In che guaio mi sono cacciata? Eppure è la notte più eccitante di tutta la mia vita.
     – Nemmeno so il suo nome – dico in un sussurro. – Perché dovrei fidarmi di lei?
     – Jimmy. Questo è il mio nome. E il suo?
     Mi mordo il labbro, chiedendomi se sia il caso di rispondergli. Ma ormai ho capito che quest’uomo riesce a farmi fare tutto quello che vuole.
     – Sylvia.
     – Sylvia... – pronunciato da lui ha tutto un altro effetto. – È un nome stupendo. Molto femminile.
     Arrossisco, mentre nella stanza riecheggiano le note di un lento. Evidentemente nel salone sono iniziate le danze, ma non rimpiango affatto di essere qui, insieme a Jimmy.
     A un tratto lui mi scruta con quei suoi incredibili occhi azzurri. – Mi concede questo ballo? Il suo sguardo brilla di una luce sbarazzina. È bello da togliere il fiato.
     Mi tende la mano e io l’afferro. In un attimo sono stretta fra le sue braccia, mentre ci muoviamo a tempo di musica. Il suo profumo, un aroma intenso di tabacco e acqua di colonia, mi dà alla testa. Le dita mi tremano dal desiderio di toccarlo. Mio Dio, che mi sta succedendo? Poi lui apre le dita a ventaglio sul mio fondoschiena e mi palpeggia le natiche, facendomi aderire ancor di più col bacino contro il suo. È eccitato. Lo sento attraverso la stoffa sottile dell’abito di chiffon nero Dolce & Gabbana. Un calore improvviso mi assale. Se prima ero mezza congelata, adesso il mio corpo brucia di una passione che non provavo da tempo. Da quando mio marito se ne è andato con la mia migliore amica, cinque anni fa, non mi sono più concessa un’avventura. E chi ne ha avuto il tempo? Dopo il divorzio tutte le mie energie sono state spese per sopravvivere. Il mio stipendio, da solo, non bastava per mantenermi e ho dovuto fare i salti mortali per andare avanti. Una storia romantica era l’ultimo dei miei pensieri.
     Ma ora, mentre Jimmy si strofina contro i miei fianchi, mi sento assalire da un desiderio così potente che ho la sensazione che il mio cervello sia disconnesso. Non riesco a pensare lucidamente. So solo che voglio quest’uomo con ogni fibra del mio essere.
     Mi inumidisco le labbra e lui le fissa, come se intendesse divorarle. Appoggio una mano sul suo petto e sento il suo cuore battere furiosamente, proprio come il mio.
     – Sylvia – dice piano, all’altezza del mio orecchio. Poi si impossessa della mia bocca, accarezzandola dolcemente con la punta della lingua. È un invito irresistibile a cui non riesco a sottrarmi. Dischiudo le labbra, ingoiando il suo bacio come il pane un affamato.
     Non so come, ma un attimo dopo mi ritrovo seduta sulle sue ginocchia, su una poltrona di pelle marrone. Jimmy si ritrae quel tanto che basta per guardarmi negli occhi e leggervi dentro l’immenso bisogno che provo.
     – Cristo, sei bellissima!
     In realtà, non mi sono mai considerata bella. I miei capelli castani sono troppo anonimi e gli occhi, dello stesso colore, sono troppo grandi. Eppure, quest’uomo mi guarda come se non ci fosse niente di più affascinante al mondo. Mi fa sentire desiderabile.
Poi la sua bocca cala di nuovo sulla mia. Riprendiamo a baciarci con foga: labbra contro labbra, lingua contro lingua. Il fuoco dentro di me divampa di nuovo e io non sono più responsabile delle mie azioni. Non mi rendo neppure conto del tempo che passa. Solo quando dalla sala adiacente cessa la musica e inizia il countdown, mi rendo conto che sta per scoccare la mezzanotte.
     Dieci, nove, otto… mi sento come Cenerentola al ballo, tra le braccia del suo principe. Quattro, tre, due, uno... uno scroscio di applausi, grida gioiose e risate riecheggia nel nostro piccolo rifugio. Jimmy si stacca un momento dalle mie labbra e mi fissa intensamente. – Buon anno, Sylvia – dice con quella sua voce roca, così sexy.
     – Buon anno, Jimmy – rispondo in un sussurro.
     La sua bocca crea una scia incandescente dal collo fino alla mia guancia e poi su, fino all’orecchio. Lo morde delicatamente, facendomi gemere. – Ho una stanza prenotata in questo albergo – dice, senza smettere la sua esplorazione. – Che ne dici di chiuderci lì dentro e cominciare l’anno a letto?
     Il mio cuore batte all’impazzata. Sento il sangue scorrere più veloce nelle vene e vengo assalita da una smania febbrile, mai provata prima d’ora. – Non posso – mi sento rispondere. Vorrei maledire me stessa, ma non posso perdere del tutto il contatto con la realtà. Io sono una cameriera squattrinata che ha rubato un abito d’alta moda, fingendosi quello che non è, mentre Jimmy probabilmente è un ricco uomo d’affari, abituato a donne ben diverse da me. Non posso illudermi che questa storia possa durare e non voglio svegliarmi al mattino e scoprire di aver commesso un terribile errore.
     Lui mi fissa in silenzio per un po’. Sembra non capacitarsi del mio no. Forse è la prima volta che riceve un rifiuto. Logico, chi si negherebbe a un uomo così?
     – Perché no? Sei sposata?
     Io scuoto la testa, celando un sorriso malinconico. – Non più. Mio marito mi ha lasciata per mettersi con la mia migliore amica.
     – Che idiota! – la sua esclamazione accorata mi inorgoglisce. Devo ripetermi che in realtà lui non sa nulla di me, per non cedere alla sua opera di seduzione.
     – Allora perché no? C’è un altro? Non ti piaccio abbastanza?
     Si morde il labbro e all’improvviso sembra un ragazzino impacciato. Decisamente adorabile, ma fuori dalla mia portata.
     – Niente di tutto questo. Semplicemente non posso.
     Gli sfioro la guancia con un casto bacio e scendo dalle sue ginocchia. Mi impongo di non guardarlo negli occhi, altrimenti non avrei il coraggio di andarmene, e mi dirigo alla porta barcollando leggermente sui tacchi a spillo. Mi gira un po’ la testa dopo tutti quei baci.
     – Addio, Jimmy – mormoro, prima di aprire la porta e varcarla. – È stato bello conoscerti.
Poi fuggo via, senza voltarmi indietro.

* * *

L’uniforme mi pesa addosso come un macigno, stamattina. Non ho chiuso occhio per tutta la notte. Continuavo a girarmi e rigirarmi nel letto, dandomi della stupida per non aver approfittato dell’unica occasione di felicità che mi si fosse presentata negli ultimi cinque anni. Ingoio le lacrime e fisso la porta della stanza 313. È quella di James Wood, che ironia! Se lo sapesse Brenda mi ucciderebbe per l’invidia, ma a lei è stato assegnato un altro piano e alla fine sarò io a pulire la camera del suo idolo.
     Con un sospiro apro la porta ed entro dentro. Per prima cosa decido di rifare il letto. Mi piego in avanti per sprimacciare i cuscini, ma all’improvviso sento un rumore alle mie spalle. Qualcuno è appena uscito dal bagno. Sussulto per la sorpresa: la stanza doveva essere vuota. Forse Mr Wood ha dimenticato di esporre fuori l’apposita targhetta do not disturb.
     Mi volto, con l’intenzione di scusarmi per essere entrata, e mi ritrovo a fissare un paio di occhi incredibilmente azzurri. Gli occhi di Jimmy. Non è possibile. Cosa ci fa nella stanza del famoso attore? Rimango a bocca aperta come una sciocca mentre fisso il suo torace muscoloso. Arrossisco e il mio sguardo si posa sui fianchi, coperti solo da un asciugamano. Poi torno a guardarlo in faccia: ha la fronte corrugata, come se cercasse di risolvere un enigma.
     – Sylvia? – chiede incredulo.
Vorrei sprofondare. Avevo sperato che non scoprisse mai la mia vera identità. Avrei voluto che mi ricordasse come un’affascinante signora dell’alta società e invece anche questa mia illusione si è sciolta come neve al sole.
     – Co-cosa ci fai tu qui? – riesco a chiedere con un filo di voce. – Questa è la stanza di James Wood, l’attore.
     Una risatina roca spezza il silenzio. – Io sono James Wood. Jimmy è il diminutivo con cui mi chiamano gli amici e i familiari.
     Sgrano gli occhi, incredula. Lui è l’attore preferito di Brenda? L’idolo incontrastato di milioni di donne? La mia umiliazione è completa.
     – Perché mi hai nascosto la tua identità?
     – Non mi capita spesso di incontrare qualcuno che non sa chi io sia. Non volevo mentirti. Semplicemente volevo essere apprezzato per quello che sono e non per ciò che rappresento.
     Che cosa? Pensa di commuovermi, forse?
     – Tu hai cercato di portarmi a letto! – la mia voce ha assunto una tonalità stridula, ma non posso farci niente.
Lui fa un passo verso di me nel tentativo di accorciare la distanza, ma io mi allontano. Continuo a retrocedere, finché non mi trovo bloccata fra lui e la parete.
     – E con questo? Siamo entrambi adulti e fra noi è scattato qualcosa, perché non avremmo dovuto approfittarne?
     Mi accarezza una guancia col dorso della mano. I suoi occhi sono puntati su di me, penetranti, e un brivido mi scende lungo la schiena. Sento la sua eccitazione premere, attraverso l’asciugamano. Il mio viso è in fiamme e non solo quello. Devo fare un enorme sforzo di volontà per scostarmi da lui.
     – Toglimi le mani di dosso – sibilo, contrariata. Se pensa che io sia una preda facile solo perché indosso un’uniforme da cameriera, si sbaglia di grosso. Gli lancio un’occhiata incendiaria. – Non sono quel tipo di donna, ok? Trovatene un’altra.
     Sguscio via, senza dargli la possibilità di riacciuffarmi. Il cuore mi batte all’impazzata mentre cerco di raggiungere la porta. La spalanco e in un attimo sono nel corridoio. Fuori c’è un’orda di ragazzine urlanti che probabilmente sperano di incontrare il loro idolo. Un sorrisino diabolico mi distende le labbra. – Laggiù – grido, indicando la 313. – La stanza di James Wood è quella e lui è lì dentro… mezzo nudo!
     So di aver esagerato. Rischio di perdere il mio posto di lavoro per questo stupido scherzo, eppure non ho saputo resistere. Quel dongiovanni se lo meritava. Guardo quella folla di femmine con gli ormoni impazziti correre nella direzione da me indicata e sorrido fra me.

     Gli sta proprio bene!

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domenica 24 settembre 2017

LA DAMA MISTERIOSA - INCIPIT

Carissimi lettori,
oggi vi propongo l'incipit di un altro mio romance storico. Se avete amato La contessa delle tenebre, non potete di certo lasciarvi sfuggire La dama misteriosa. Ritroverete l'affascinante sir Drake, personaggio secondario nel primo romanzo, che qui diventa protagonista assoluto. E conoscerete Julia, una donna che si mette in gioco per ottenere ciò che desidera da tutta una vita: l'amore di suo marito.



TRAMA:

Londra, 1805. Sir Jonathan Drake, baronetto impiegato presso i servizi segreti britannici, ha sempre rifuggito l’amore. Ma quando incrocia lo sguardo di una misteriosa e seducente dama con un abito provocante, in un palco all’Opera, se ne invaghisce all’istante.
Quella donna lo affascina e lo turba nel profondo; non ha riconosciuto in lei l’insignificante creatura che ha sposato dieci anni prima e poi dimenticato, relegandola nella sua dimora di campagna.
Ora quella fanciulla timida e impaurita si è trasformata in una donna ammaliante e sensuale, pronta a riprendersi ciò che lui le ha negato. E tutto a un tratto, Drake non desidera altro che prenderla fra le braccia e amarla appassionatamente. Ma le umiliazioni da lei subite, in tutti quegli anni di solitudine, non sono così facili da dimenticare e lui dovrà lottare assiduamente per riconquistarla. Anche se per farlo dovrà mettere a rischio il proprio cuore.



PROLOGO




Bedfordshire, giugno 1795

Sedeva davanti alla toeletta, le mani posate in grembo in una posa rigida e innaturale. Tremava un poco, ma non perché facesse realmente freddo in quella stanza. Anzi, dalle alte finestre aperte filtrava una piacevole brezza, considerata la stagione.
     Julia sospirò, lanciando un’occhiata ansiosa alla porta che metteva in comunicazione la sua camera da letto con quella di sir Jonathan Drake, il suo sposo. Aveva la gola secca e un rivolo di sudore le scendeva lungo il collo. Non era certa di riuscire a tenere a bada l’agitazione, non la sua prima notte di nozze.
     Si umettò le labbra, tornando a fissare lo specchio davanti a sé ed esaminando per l’ennesima volta la propria figura snella, fasciata in un’impalpabile camicia da notte che poco celava del suo corpo ancora acerbo. Avrebbe desiderato possedere forme più arrotondate e seducenti per poter compiacere meglio il proprio marito; invece era alta, magra e spigolosa, senza alcuna attrattiva.
     Le dita corsero all’acconciatura. I nastri con cui aveva legato i capelli si erano disfatti e ora sgradevoli riccioli ramati sfuggivano al rigido chignon sopra la nuca, dandole un aspetto sciatto e  disordinato. La cameriera si era offerta di scioglierle le lunghe chiome e pettinarle per lei, ma Julia  si era rifiutata. Odiava i suoi capelli color carota e tenerli sciolti sulle spalle sarebbe servito unicamente a farla rassomigliare a uno spaventapasseri.
     Un rumore di passi la fece irrigidire. La porta cigolò aprendosi, mentre Sir Drake faceva il suo ingresso nella stanza nuziale, dopo essersi congedato dagli amici che, giù da basso, avevano brindato in onore degli sposi fino a tarda sera. Jonathan era un giovane di bellezza innegabile. Irradiava una forte mascolinità che a Julia non era certo indifferente. Alto, di corporatura atletica, dimostrava più dei suoi venticinque anni. Quando irruppe all’interno, lo fece con una disinvoltura naturale, certamente pronto ad assolvere i propri doveri coniugali senza la minima esitazione o imbarazzo. Vestiva con eleganza informale, una giacca blu scuro fatta su misura, dei calzoni color crema che lo fasciavano come una seconda pelle e un paio di stivali lucidi. I serici capelli biondi contrastavano con il nero del fazzoletto da collo, annodato in maniera impeccabile.
     – Vediamo di portare a termine il nostro ingrato compito, milady – le disse, lasciandosi cadere su una poltrona per togliersi gli stivali, lo sguardo che percorreva la sua intera figura rischiarata dalla flebile luce di una candela.
     Julia deglutì, seguendo i movimenti bruschi del marito con apprensione. Sembrava irritato e forse anche un po’ brillo. Avrebbe voluto dirgli che per lei non vi era nulla di ingrato in tutto ciò, ma le parole non vollero uscire, costringendola a restare in silenzio.
     Poi lui si chinò a sfilarsi le calze. – Sarò sincero con voi fin dall’inizio: vi ho sposata unicamente perché vi sono stato costretto. Mio padre pensa che la figlia di un duca possa essere un buon affare per me. Tuttavia, non illudetevi. Non sono innamorato di voi, né mai lo sarò.
     – Come fate a dirlo? – istintivamente Julia ritrovò la voce. Incatenò gli occhi ai suoi, sforzandosi di capire se fosse serio o se quelle parole crudeli fossero il risultato dei troppi bicchieri di vino che si era scolato durante il ricevimento di nozze. – Ancora non sapete nulla di me. Forse, conoscendomi meglio…
     La sua bassa risata la fece irrigidire. – Non vi illudete, milady. Non credo nell’amore e sono convinto che qualsiasi illusione romantica possiate nutrire nei miei confronti sia solo il frutto di fantasie sciocche e infantili.
     Con un movimento repentino, Jonathan si alzò sfilandosi da sopra la testa la candida camicia di lino, per poi abbandonarla sul pavimento insieme al resto degli indumenti. Julia sgranò gli occhi, fissando senza fiato la gloriosa distesa del petto e i capezzoli ritti che risaltavano sulla pelle abbronzata. Poi, le mani di Jonathan scesero sull’allacciatura dei calzoni. Il suo primo istinto fu quello di voltarsi e distogliere lo sguardo, ma si fece forza e rimase inerte, senza muovere un solo muscolo. Si impose di guardarlo mentre si abbassava le braghe sulle cosce muscolose, finché non fu completamente nudo di fronte a lei.
     Allora sentì stringersi lo stomaco e serrò i pugni conficcandosi le unghie nei palmi. L’asta del sesso era lunga e spessa e sembrava crescere sotto il suo sguardo fino a svettare contro i muscoli dell’addome.
     Accorgendosi del suo sbigottimento lui rise di nuovo, piano. – Be’, come vedete sono perfettamente in grado di consumare questa unione, quali che siano i miei sentimenti per voi – Fece una pausa durante la quale Julia ebbe l’impressione che tutto l’ossigeno le venisse risucchiato dai polmoni. – Allora, vogliamo andare a letto?

* * *

Jonathan cercò di fare tutto il più velocemente possibile. Julia era stretta e si agitava sotto di lui, rendendo più complicati gli affondi. Aveva provato a eccitarla accarezzandola fra le cosce, ma lei si era immediatamente irrigidita, scalciando per spingerlo via e mettendosi a piangere.
     Sospettava che fosse frigida.
     Imprecò sottovoce mentre si ritraeva per penetrarla ancor più in profondità, ignorando le sue lacrime. Ecco perché odiava le vergini e si guardava bene dall’andare a letto con una donna che non avesse una certa esperienza. Julia lo stava facendo sentire un bruto e quello era, senza ombra di dubbio, l’amplesso più insoddisfacente della sua vita.
     – Non durerà ancora a lungo – le sussurrò, muovendosi più in fretta. – Vi avrei evitato tutto questo, ma la nostra unione non sarebbe stata legale altrimenti.
     In risposta udì un altro singhiozzo sommesso.
     Jonathan giurò a se stesso che quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe posseduto la moglie. Forse, se e quando gli fosse venuta voglia di mettere al mondo un erede, avrebbe ripetuto l’esperienza. Ma non prima di allora. Per un attimo sperò che lei rimanesse subito incinta, così da non doversene occupare più.
     Con un basso ringhio riversò il proprio seme dentro di lei e rotolò via, ansimando leggermente. Lei rimase immobile, a fissare il soffitto sopra le loro teste come una vergine sacrificale. Be’, vergine non lo era più a ogni modo. Jonathan si sollevò su un gomito e la fissò accigliato. – Domani partirò per Londra e non mi vedrete per molto tempo, mi avete capito?
     Lei sgranò i suoi occhioni verdi, mordicchiandosi il labbro inferiore. – Londra? Per quale motivo?
     – Ho deciso che vivremo separati, così voi non dovrete sopportare la mia presenza né io la vostra. Sarà molto meglio per entrambi.
     Si aspettava di sentirla sospirare di sollievo, ma non fu così. Julia rimase rigida e impettita. Cominciava a credere che quello fosse il suo stato naturale. Jonathan si schiarì la voce. – Ascoltatemi, Julia. Non dovete preoccuparvi. Mi occuperò del vostro mantenimento e di tutto ciò di cui potreste avere bisogno. Non vi mancherà mai nulla.
     Lacrime silenziose ripresero a scendere lungo le sue guance pallide.
     Perché diavolo piangeva adesso?
     Stufo di sopportare tutto ciò, Jonathan si alzò e si rivestì senza dedicarle un’altra occhiata. – Addio, Julia – disse infine, varcando la porta.
     Sbatté l’uscio con forza alle sue spalle, lasciandosi dietro una ragazzina in lacrime e una notte da dimenticare. Per fortuna, era tutto finito.



1




Londra, maggio 1805

Le donne lo affascinavano. Soprattutto quelle dissolute, prive di inibizioni. Era intrigato dal loro modo di sedurre, mettendo in mostra i seni voluttuosi attraverso le scollature degli abiti mentre agitavano i propri ventagli davanti al viso imbellettato.
     Jonathan Drake si mosse sulla poltroncina, lo sguardo rivolto al palco privato in cui sedevano due dame attraenti, intente a seguire rapite l’esibizione del tenore. Una delle due aveva lunghi capelli bruni, intrecciati con fili di perle che ne risaltavano la lucentezza. Era una delle più famose cortigiane di tutta Londra e la conosceva piuttosto bene. L’altra invece era per lui un vero mistero. La colse nell’atto di sventolarsi languidamente il viso delicato, arrossato dal caldo, mentre alcune ciocche dei setosi capelli ramati le sfioravano il collo sottile. Era certo di non aver mai visto una donna più sensuale e conturbante di quella.
     Un brivido caldo gli scese lungo la schiena quando lo sguardo gli cadde sulla porzione di carne opulenta, contenuta a stento nel corpetto dell’abito color smeraldo che ben si intonava al colore dei suoi occhi. La scollatura era dannatamente generosa e gli provocò un’erezione improvvisa che premeva in modo imbarazzante contro i suoi calzoni aderenti.
     Strattonò il fazzoletto da collo allentandolo.
     Era una sua impressione o lì dentro si soffocava?
     Tornò a osservare quell’ammaliante creatura domandandosi chi potesse essere. Di certo non un membro del ton, a giudicare dalla compagnia che si era scelta e dal vestito audace che indossava. Tuttavia, non sembrava neppure una demi-mondaine, con quei grandi occhi da cerbiatta impaurita che saettavano a destra e a sinistra, quasi nel tentativo di prendere familiarità con un ambiente a lei poco consono.
     Forse era una parente di Madame Dubois, giunta da fuori Londra per tenerle compagnia. A ogni modo doveva scoprirlo. Era giusto in cerca di una nuova amante e quella sembrava fare proprio al caso suo: bella come una dea, pareva coniugare innocenza e spregiudicatezza in un’unica persona.
     Ne era inevitabilmente affascinato.
     All’improvviso, la dama misteriosa si protese in avanti sollevando il binocolo per mettere meglio a fuoco i cantanti d’opera sul palcoscenico. Nel farlo, i suoi seni deliziosi premettero contro la stoffa del corpetto e Jonathan fu quasi certo di intravedere le punte rosee dei capezzoli.
     Deglutì, allungando le gambe alla ricerca di una posizione più comoda.
     Dio, il suo sesso era diventato talmente duro da risultare doloroso.
     Quella donna aveva un seno stupendo, pieno e delle dimensioni giuste. Gli toglieva il fiato. Si rese conto di non riuscire a staccare lo sguardo da lei, dalla curva aggraziata delle spalle nude, dalla sua pelle di porcellana o da quelle labbra turgide e seducenti, incurvate in un autentico sorriso.
     – Sapete per caso chi sia la donna in compagnia di Madame Dubois? – chiese all’amico che gli sedeva di fianco. Roger Fisher, visconte Dillon, era al suo pari un gran intenditore di bellezze femminili e aveva un discreto numero di conoscenze nell’ambiente del demi-monde. Distolse lo sguardo dal palcoscenico, la fronte leggermente corrugata, e lo rivolse alla dama in questione. Un fischio d’ammirazione gli sfuggì dalle labbra.
     – Non ne ho idea, ma è indubbiamente una signora di gran fascino.
     Jonathan annuì. – Devo esserle assolutamente presentato. Durante l’intervallo andrò a porgere i miei saluti a Cecile.
     Roger lo osservò di sbieco, negli occhi una luce maliziosa. – Non perdi tempo, vedo. Hai lasciato la tua ultima amante solo una settimana fa e già ti stai guardando intorno?
     – Sai che non riesco a stare lontano dalle sottane, amico mio – ribatté lui, divertito. – Amanda si era fatta troppo possessiva e ho dovuto porre fine alla nostra relazione. Ma questo non vuol dire che debba condurre una vita da monaco, ti pare?
     Roger sogghignò e tornò a concentrarsi sullo spettacolo. Jonathan lo imitò, o almeno ci provò. Gli parve fosse trascorsa un’eternità quando finalmente l’orchestra smise di suonare e i cantanti si ritirarono dietro le quinte per l’intervallo. Scattò in piedi, precipitandosi fuori in direzione del foyer, dove aveva intravisto l’abito color smeraldo della dama misteriosa. Non l’aveva persa d’occhio dall’esatto momento in cui era calato il sipario. La sentì ridere per una battuta sussurratale all’orecchio da un ammiratore, mentre piegava il capo all’indietro esponendo il lungo collo pallido alla vista dei presenti. La sua risata roca, di gola, gli fece venire i brividi. Quella donna era un concentrato di sensualità. Si chiese come sarebbe stato averla a propria disposizione, nuda in un letto.
      – Buonasera, Cecile – disse avanzando con passi indolenti, un sorriso ironico stampato sul viso. – Che piacere vedervi.
     Madame Dubois lo studiò da sotto le ciglia abbassate. Ebbe l’impressione di notare un guizzo di malizia in quegli occhi di un intenso blu notte, ma fu solo un attimo. Subito dopo gli stava porgendo la mano guantata, con grazia. – Sir Drake, il piacere è tutto mio. Posso presentarvi mia cugina, madame Juliette Morin? Si trova a Londra da pochi giorni e ancora non conosce nessuno qui.
     In quell’istante la dama misteriosa si voltò, indirizzandogli un’occhiata languida che lo colpì dritto al cuore. Vista da vicino era ancora più bella.
     – Onorato di fare la vostra conoscenza, madame Morin – Jonathan si inchinò, senza distogliere lo sguardo da lei un solo secondo. Nei limpidi occhi verdi scorse delle pagliuzze dorate che parvero risplendere sotto le luci del lampadario di cristallo che illuminava la sala.
     Lei si schiarì la voce celando il bel volto dietro al proprio ventaglio, in un gesto che gli parve allo stesso tempo pudico e civettuolo. – Sono io a sentirmi onorata, sir Drake. Ho sentito molto parlare di voi.
     – Sul serio? Spero non diate ascolto ai pettegolezzi. Non tutto quello che si dice sul mio conto corrisponde a verità.
     Juliette rise di nuovo, piano. – Corrisponde a verità che siete uno degli uomini più ambiti nei salotti londinesi e che non lasciate mai un’amante insoddisfatta?
     Se nutriva ancora qualche dubbio sul fatto che quella donna non fosse una demi-mondaine, fu immediatamente fugato da quelle parole. Nessuna signora avrebbe mai affrontato un argomento tanto audace in pubblico. Decise di stare al gioco. – Non posso confermare un’affermazione del genere senza peccare di superbia, madame. Ma sono a vostra disposizione qualora voleste confutare voi stessa tali dicerie.
     Lei arrossì appena, dietro al ventaglio, causandogli uno spasmo al basso ventre. Finora non si era mai reso conto di trovare affascinanti le donne capaci di arrossire. Eppure, fu una certezza nel momento in cui il suo sguardo si posò su quelle gote fiammeggianti.
     – Mi state proponendo di diventare la vostra amante, sir Drake? – Juliette sbatté le lunghe ciglia ramate, ammaliandolo. Se ancora fosse stato restio a soccombere al suo fascino, sarebbe caduto ai suoi piedi in quel preciso istante. Quella donna ci sapeva maledettamente fare.
     Rise a sua volta. – Perdonate la mia sfacciataggine, madame. Proprio non so resistere al fascino di una bella donna.
     – Sul serio mi trovate bella? 
     Gli parve sorpresa, i grandi occhi verdi che lo scrutavano da dietro il ventaglio. Diamine, ne dubitava forse? Oppure era semplicemente a caccia di complimenti? Stava per risponderle a tono quando Madame Dubois posò la mano guantata sul braccio della cugina. – Il secondo tempo sta per iniziare. Sarà meglio tornare ai nostri posti.
     Jonathan si accigliò. Era già finito l’intervallo? Il tempo era volato in compagnia di Juliette e quasi non se ne era accorto. – Quando potrò rivedervi? – si affrettò a chiederle, infischiandosene di apparire troppo insistente.
     – Mi piacerebbe visitare Londra – rispose lei, gli occhi che rilucevano di entusiasmo mal celato. – Potreste farmi da cicerone, se per voi non è un disturbo.
     – Nessun disturbo. In realtà pensavo di proporvelo io stesso. Posso passare a prendervi domani, nel primo pomeriggio. Dove alloggiate?
    – Sono ospite di mia cugina Cecile. Immagino sappiate dove abiti, non è vero? Tutta Londra lo sa.
     Jonathan annuì. Non c’era da stupirsi che l’indirizzo di madame Dubois fosse così noto. A turno erano finiti tutti nel suo letto. – A domani, allora.
     Lei gli indirizzò un cenno di assenso e un ultimo sorriso sbarazzino, prima di congedarsi e sparire dentro al suo palco. Pur a malincuore, Jonathan si avviò verso il proprio e si lasciò cadere sulla poltroncina. Ignorò lo sguardo curioso di Roger e sbuffò piano. Quel secondo tempo sarebbe stato terribilmente lungo, ne era certo.

* * *

Julia si accomodò al suo posto, stringendo il proprio ventaglio con tanta forza da spezzarlo. Tremava tutta. – Non mi ha riconosciuta – disse, con un sospiro che non avrebbe saputo dire se di sollievo o rammarico.
     Madame Dubois le prese una mano fra le sue, in un gesto affettuoso. – Non dovete stupirvene. Voi stessa mi avete detto che sono trascorsi dieci anni dall’ultima volta che lo avete visto e che da allora siete cambiata molto.
     Lei annuì, fingendo di guardare il palcoscenico mentre uno scroscio di applausi accoglieva il ritorno dei cantanti. – Avevo sedici anni quando mi sono sposata con Jonathan. Ero così insignificante a quei tempi! Magra, senza seno e col viso coperto di lentiggini. I miei capelli erano indomabili e di un orribile color carota: un’accozzaglia di riccioli ribelli – rise amaramente al ricordo della ragazzina timida e ingenua che era stata. Col tempo aveva preso peso, i seni erano fioriti e i capelli si erano leggermente scuriti diventando di un caldo rosso tiziano. Anche il viso aveva perso traccia delle lentiggini che tanto l’avevano afflitta nella sua adolescenza. La sua pelle ora era perfetta: candida e setosa.   
     Ma i cambiamenti più importanti li doveva a madame Dubois. Lei era la sua mentore. Le aveva insegnato ad avere fiducia in se stessa e tutte quelle armi di seduzione, utili a far cadere gli uomini ai suoi piedi. Grazie a lei era riuscita ad attirare l’attenzione di suo marito, che in quegli anni si era completamente disinteressato alla sua persona.
     Sospirò, trattenendo a stento le lacrime. – Vuole rivedermi. Domani.
     Cecile la studiò un attimo, prima di risponderle. – E voi? Volete rivederlo?
     Cielo, sì! Non era lì per quello?
     Lasciò andare il respiro, facendosi aria col ventaglio. – Certo. È lo scopo del mio viaggio a Londra riconquistare mio marito.
     – Riconquistarlo o diventare la sua amante? Sono due cose ben diverse, mia cara.
     Julia scrollò le spalle. – Voglio sedurlo, fargli perdere completamente la testa. Pensate che sia sbagliato?
     Madame Dubois le rivolse un sorriso malizioso. – No, affatto. Tuttavia, mi chiedo perché vogliate proprio lui. Non mi avete detto che la vostra prima notte di nozze fu orribile, insoddisfacente per entrambi? Qui a Londra ci sono tanti uomini affascinanti che darebbero la vita per venire a letto con voi. Posso presentarvene alcuni, se lo desiderate.
     Julia si irrigidì. – Vi ringrazio per l’offerta, ma non sono cambiata poi così tanto. Non sono una sgualdrina. E poi le voci che ho sentito sul conto di mio marito sono entusiastiche. Tutte le sue amanti sono concordi nel definirlo un uomo appassionato, decisamente al di sopra di ogni aspettativa a letto. Voi stessa me lo avete confermato.
     Cecile ridacchiò, probabilmente ricordando i tempi della sua antica relazione con Jonathan. – Sì, vostro marito ci sa fare. Su questo non vi sono dubbi, ma…
     – Sono certa che, se mi considerasse alla stregua di un’amante, si impegnerebbe per soddisfare anche me.
     – Ma certo, mia cara. Quello che non capisco è perché vogliate sedurlo, per poi tornare nel Bedforshire a fare la reclusa. Cosa ricaverete da questa avventura?
     Julia esitò. Vi aveva riflettuto a lungo negli ultimi mesi, ma era difficile esprimere a parole ciò che provava. Si schiarì la voce. – Voglio sentirmi una donna sensuale e disinibita, almeno per una volta nella vita. E voglio fare l’amore con mio marito. Non mi importa se non sarà per sempre. Non nutro illusioni in tal senso. So bene che tutte le sue relazioni si concludono, prima o poi, e che  Jonathan non è portato per i legami di lunga durata. Ma è così umiliante sapere di essere l’unica donna che non ha conosciuto il piacere fisico tra le sue braccia.
     – Dunque è una questione di orgoglio?
     – Forse. A ogni modo, mi aiuterete?
     Madame Dubois sorrise. – Ma certo, mia cara. Sarà divertente vedere sir Drake capitolare. Ciononostante, non temete che possa scoprire il vostro inganno? Se decidesse di raggiungervi nel Bedfordshire, capirebbe che voi e Juliette Morin siete la stessa persona.
     Julia si lasciò sfuggire un’amara risata. – Non viene a trovarmi da dieci anni. Perché dovrebbe volerlo fare adesso?
     – Prima o poi potrebbe desiderare di mettere al mondo un erede a cui passare il titolo di baronetto.
     Lei deglutì. Sì, esisteva quella possibilità in effetti. Ma non le importava. – Correrò il rischio.




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mercoledì 20 settembre 2017

LA CONTESSA DELLE TENEBRE - INCIPIT

Vi avevo promesso l'incipit de "La contessa delle tenebre". Eccolo! Buona lettura.



Parigi, Torre del Tempio, settembre 1795

 C
harlotte aprì gli occhi all’improvviso, destata da un rumore di passi.
Odiava svegliarsi in piena notte, preda dell’ansia o del terrore per ogni più piccolo sussurro. Cercò di calmare il battito furioso del proprio cuore: s’irrigidì, raggomitolata contro la parete di pietra della sua cella, stringendosi nella pesante coperta di lana.
     Viveva rinchiusa fra quelle umide mura da circa tre anni, quando era stata arrestata insieme alla sua famiglia dai rivoluzionari francesi. La sua serena esistenza era stata interrotta per lasciare spazio solo a paura e dolore. Uno ad uno, i suoi cari avevano abbandonato questo mondo: prima suo padre, poi sua madre, sua zia Elizabeth e infine il suo adorato fratellino, di soli dieci anni. Una lacrima le scese giù da una guancia e si affrettò ad asciugarla con la manica consunta dell’abito che indossava. Un tempo aveva posseduto vestiti eleganti, confezionati dalle migliori sarte parigine e con le stoffe più pregiate. Com’era lontano quel periodo!
     A volte aveva l’impressione di pensare alla sua vita precedente come a un sogno lontano, esistito solo nella sua fantasia.
     Sentì di nuovo quel rumore di passi e il suo battito cardiaco accelerò. Tese le orecchie, cercando di capire se il suono fosse ora più vicino, ma il rumore del proprio cuore sovrastava ogni cosa. Si impose di respirare a ritmo regolare. I passi si avvicinavano con esasperante lentezza e iniziò ad avvertire degli spasmi alle braccia e alle gambe. Terrorizzata, si rannicchiò ancor di più in posizione fetale.
     In quel momento i passi si arrestarono.
     Qualcuno si fermò davanti alla massiccia porta di legno e lei tremò al pensiero che fossero venuti a prenderla.
     Non voleva morire.
     L’uscio si aprì con un fastidioso cigolio. Charlotte trattenne il fiato, sollevando lo sguardo sulla figura in ombra sulla soglia. Una guardia si intrufolò all’interno. Era un uomo alto, robusto, il naso leggermente aquilino.
     «Cosa volete?» chiese Charlotte in un sussurro, scattando in piedi. La coperta ricadde sulle grigie pietre del pavimento e lei avvertì un brivido, che nulla aveva a che fare con la temperatura all’interno della torre.
     L’uomo si mosse nella sua direzione, le labbra piegate in un enigmatico sorriso. L’afferrò per un braccio, puntando su di lei i suoi occhi famelici come quelli di una belva.
     «Non ti senti tutta sola in questa cella? Vuoi un po’ di compagnia?»
     Il suo alito puzzava di vino. Charlotte cercò di sottrarsi alla sua presa, ma la guardia la trattenne, stringendole il polso quasi fino a spezzarlo. Un urlo di dolore le bruciò la gola.
     «Lasciatemi, vi scongiuro!»
     «Mi scongiuri?» disse l’uomo, divertito. «La figlia del defunto re che scongiura me. È quasi divertente.»
     Charlotte si divincolò. Era terrorizzata. Quegli occhi che la fissavano bramosi la confondevano. Avrebbe voluto parlare, chiedere cosa avesse intenzione di farle… ma le parole non vollero uscire.
     Lui le prese il mento, sollevandolo quanto bastava per poterla guardare negli occhi. «Sei una vera bellezza. Nobile, casta e inviolabile. Irraggiungibile per uno come me, non è così?»
     Charlotte cominciò a tremare. Non capiva cosa quell’uomo volesse da lei, ma era certa che non fosse nulla di buono. Poi lui posò gli occhi sul suo seno, messo in evidenza dalla scollatura dell’abito. La spinse contro la parete, premendo i fianchi contro i suoi.
     «La tua pelle candida mi eccita» sussurrò, sfiorandole una guancia col dorso della mano callosa. «È così bianca… sembra quella di una bambola di porcellana.»
     Lei sussultò, come se l’avesse schiaffeggiata. Quella mano… provava ribrezzo per ciò che le stava facendo. Tentò di opporre resistenza, ma la presa della guardia si fece più forte.       
     «Dimmi, quanti anni hai?»
     Quella domanda la colse di sorpresa. «Di-diciassette, signore» balbettò, confusa.
     «Diciassette. Sei abbastanza grande, allora. Non desideri conoscere il piacere che un uomo può dare a una donna?
     Charlotte rabbrividì. Non sapeva nulla di quelle cose. Talvolta aveva captato qualche discorso, ma le dinamiche dell’accoppiamento restavano per lei un mistero. Tuttavia, credeva fosse impossibile provarne piacere. Tutto ciò che sentiva per quell’uomo, che premeva il proprio corpo sudato contro di lei, era disgusto.
     In quel momento percepì qualcosa di duro contro i fianchi. Abbassò lo sguardo, temendo che lui la stesse minacciando con una spada. Ma non era una spada, realizzò con orrore.
     Deglutì. «Vi prego… »
     L’uomo la strattonò, nel tentativo di slacciarle il corpetto dell’abito. «Riserva le tue preghiere per i santi» la derise. In quel mentre Charlotte sentì la stoffa lacerarsi e quelle mani rozze le strinsero i  seni. Si irrigidì. Avrebbe voluto urlare, ma chi mai sarebbe venuto in suo soccorso in quella prigione? Da quando era stata fatta prigioniera tutti si prendevano gioco di lei. Non vi era il minimo rispetto: era oggetto di scherno e derisione; le venivano indirizzate canzoni oscene e insulti di ogni genere.
     Cercò di spingere per liberarsi, ma era inutile. Lui era troppo forte. A un tratto la schiaffeggiò con un impeto tale da stordirla.
     «Stai ferma! Ti piacerà, vedrai. Aprirai le gambe per me come una qualsiasi sgualdrina. Non vedo l’ora di scoprire come gode una principessa.
     Lacrime silenziose le solcarono il viso. Non era possibile che le stessero facendo questo. La verginità era l’unico valore che le fosse rimasto, non potevano privarla anche di quel bene per lei così prezioso.
     «No, per favore… no!
     Ridendo sguaiatamente l’uomo le sollevò le sottane. Lo vide sbottonarsi la patta delle braghe e avventarsi su di lei come un animale. Tutto quel che percepì dopo fu solo dolore e umiliazione. La guardia profanò il suo corpo con affondi sempre più veloci. Charlotte urlò con tutto il fiato che aveva in gola, ma quei colpi non cessarono. Ebbe la sensazione che la lacerassero in profondità, fino a trafiggerle l’anima.
     Il sangue cominciò a colarle giù dalle gambe, insozzandole le calze. Ma che importava, a quel punto? Lei rimase immobile, gli occhi chiusi e invasi dalle lacrime, mentre quel mostro terminava di fare quel che aveva cominciato. Lo sentì tremare e riversare il suo seme dentro di lei. Dopo di che si ripulì con un lembo della camicia e si riabbottonò i calzoni, sul viso un sorriso soddisfatto.
     «Non sei stata male, principessa. Magari potrei tornare a trovarti una di queste sere, che ne dici?»
     Charlotte non rispose. Le forze l’avevano abbandonata. Si sentiva sporca nel cuore e nell’anima. Avrebbe voluto lavarsi, strofinarsi la pelle fino a scorticarla, pur sapendo che il dolore provato non sarebbe andato via col sapone. L’avrebbe tormentata per l’eternità. 
     Un attimo dopo sentì la porta della cella richiudersi alle sue spalle e crollò sul pavimento. Le gambe non la reggevano più. Tornò a rannicchiarsi contro il muro, cercando di coprirsi con le mani.
     Infine pianse. Pianse tutte le sue lacrime.      
    



CAPITOLO 1


Amsterdam, dicembre 1795

L
eonardus Cornelius Van der Valck se ne stava seduto a un tavolo da gioco con un bicchiere di pregiato madera in una mano e nell’altra un mazzo di carte. Era solito trascorrere il proprio tempo libero facendo bagordi con gli amici. Gioco d’azzardo, donne di facili costumi e grosse somme di denaro erano il suo pane quotidiano. Tutto, pur di sfuggire alla noia e all’inquietudine che l’opprimevano.
     «Tocca a voi dare le carte» gli disse un baronetto inglese, seduto alla sua destra.
     Intanto, una fulgida bellezza bruna dal seno procace e dalla scollatura generosa gli si era avvicinata, ancheggiando e mettendo bene in mostra la sua mercanzia.
     Con ogni probabilità Leonardus avrebbe finito per portarsela a letto, dopo qualche altro bicchiere e una ricca vincita. Considerò l’idea e fece un sorrisino.
     «Non abbiate fretta, Fairfax» rispose al baronetto. «La notte è ancora giovane.»
     Lanciò una fugace occhiata alla brunetta e si accinse a mischiare le carte, quando un uomo dalla sobria eleganza e i lineamenti aristocratici lo interruppe.
     «Il signor Van der Valck?» indagò, cauto.
      Leonardus sollevò lo sguardo e inarcò un sopracciglio, scrutando incuriosito il nuovo venuto.  Il suo accento straniero era piuttosto marcato. Doveva essere di origine austriaca, suppose da diplomatico esperto. Di sicuro non l’aveva mai visto prima.
     «Posso sapere con chi ho l’onore di parlare?»
     L’uomo si fermò a un passo da lui, lo sguardo impenetrabile. Sembrava disapprovare quel luogo e il clima dissoluto di cui era pregno. Doveva essere un tipo piuttosto noioso.
     «Sono il conte Brank, al servizio dell’Imperatore d’Austria.»
     «In cosa posso aiutarvi, signor conte?»
     «Si tratta di una questione privata. Se volete seguirmi in un luogo più consono, sarò lieto di illustrarvi i motivi che mi hanno condotto qui.» 
     Leonardus trattenne una risatina. Se quell’uomo pensava di rovinargli la serata, si sbagliava di grosso. Niente e nessuno l’avrebbero allontanato dal tavolo da gioco e da quella signora compiacente.
     «E cosa vi fa credere che io sia interessato a conoscere simili dettagli? Come vedete sono piuttosto impegnato in questo momento.»
     Il conte si irrigidì. Evidentemente non era solito ricevere rifiuti.
     «Forse una cospicua somma di denaro potrebbe aumentare la vostra curiosità.»
     «Forse» ammise Leonardus. «Dipende da cosa intendete per cospicua.»
     «Non ho tempo da perdere, signore» si spazientì Brank. «Volete seguirmi, per favore? Sono ansioso come voi di mettere fine a questo colloquio.»
     Leonardus si scusò coi compagni di gioco e si alzò. Sperava che tutto si concludesse velocemente, per poter tornare dagli amici e dalla prosperosa bellezza bruna. Ma aveva il sospetto che la faccenda fosse complicata e prevedeva guai.
     Il conte gli fece strada fino a un salottino privato – i club di lusso come quello ne avevano sempre uno – e attese che Van der Valck entrasse, per richiudere la porta con un colpo secco.
     «Ebbene?» lo incoraggiò, visibilmente spazientito. «Di che si tratta?»
     «È una questione piuttosto seria. Meglio che vi mettiate comodo.»
     Leonardus sbuffò. Prese posto su un’elegante poltrona damascata e attese che anche il proprio interlocutore si sedesse, prima di sollevare uno sguardo indagatore su di lui.
     Finalmente, Brank si decise a parlare: «Come ben saprete, l’Imperatore ha una cugina che è stata tenuta in cattività dai rivoluzionari francesi…»
     «Andate subito al dunque, signor conte. Non ho intenzione di dedicarvi l’intera serata.»
     «Si tratta di una questione diplomatica molto seria e delicata che non può essere liquidata in due parole. Quindi abbiate l’accortezza di tacere e lasciarmi continuare.»
      Sbuffando leggermente, Leonardus si dispose all’ascolto.
      Gli fu illustrata l’intera vicenda di una sfortunata ragazza di sangue reale, fatta prigioniera e liberata di recente, in cambio di dodici prigionieri di guerra. Si chiese irritato cosa avesse a che fare con lui tutto ciò, finché non gli fu evidente.
     «Mi state chiedendo di prendermi cura di questa ragazzina per il resto dei miei giorni? Mi avete preso per una balia, forse?» Il suo tono scandalizzato fece scattare in piedi il conte austriaco.
     «Non sono io che ve lo chiedo. È un ordine dell’Imperatore in persona!»
     La faccenda si stava facendo più complicata e sgradevole del previsto. Decisamente peggiore di ogni sua più tetra aspettativa. Ed era chiaro che all’Imperatore non si potesse dare un “no” come risposta.
     «Perché io?» si ritrovò a chiedere, incredulo che una simile sfortuna fosse capitata proprio a lui.
     «Siete la persona più adatta a questo incarico. Vestite i panni del diplomatico con discreto successo, siete giovane e attraente e, soprattutto, non siete sposato.»
     «Cos’ha a che vedere il mio stato di uomo celibe con tutto questo?»   
     Il conte si accese un sigaro con esasperante lentezza. Tirò una boccata e infine continuò: «Vi viene richiesto di prendere in moglie la ragazza, signore. Durante la prigionia è stata stuprata e ora è in attesa di un figlio. Le nozze sono necessarie per mettere a tacere le malelingue.»
     Leonardus sbiancò. Dovette afferrare il bicchiere di rhum che gli era stato gentilmente offerto e berlo tutto d’un fiato, per riaversi.
     «Maledizione!» fu la sua risposta seccata.

La carrozza correva veloce sulla strada lastricata che conduceva al confine con la Svizzera. Charlotte si sporse dal finestrino con aria inquieta e sospirò. Viaggiava da parecchie ore ed era ansiosa di arrivare a destinazione. Le era stato detto che la meta era una piccola cittadina di confine, chiamata Huningue. Ancora non era certa di chi avrebbe trovato ad aspettarla in quel luogo, ma sperava che si trattasse di una presenza amica. Era così desiderosa di conforto, dopo tutte le tribolazioni vissute negli ultimi anni.
     «Allontanatevi dal finestrino, madame» la rimproverò la voce acida della sua accompagnatrice.                  Era una donna rigida e scorbutica che Charlotte  giudicava incapace di provare il minimo   sentimento d’affetto. La meno indicata per chi di affetto ne aveva una fame assoluta, come lei.
     Si abbandonò sul sedile e cominciò a giocherellare distrattamente con il bordo di pizzo del colletto dell’abito che indossava. Era un capo di eleganza discreta, più accollato di quanto esigesse la moda e di una taglia superiore alla sua, in modo che nascondesse l’imbarazzante rotondità del suo ventre. Il grigio scuro della stoffa le attribuiva più l’aria dell’istitutrice che quella di una principessa  e l’acconciatura era altrettanto severa: i capelli le erano stati pettinati in una rigida crocchia sulla nuca. Solo accidentalmente qualche ricciolo biondo era sfuggito alle forcine e ora svolazzava indisturbato, mosso dal vento.
     «Quando arriveremo?» si decise a chiedere, in tono sofferente. Sentiva il bisogno di sgranchirsi le gambe e di respirare a pieni polmoni l’aria di montagna. Nonostante il freddo rigido dell’inverno, bramava con tutta se stessa di ritrovarsi all’aperto, di poter finalmente riabbracciare spazi ampi, senza nessun muro attorno.
     «Manca poco, ormai.» La sua accompagnatrice incrociò le braccia. «Cercate di essere paziente, madame
     Avrebbe voluto rispondere che la pazienza l’aveva esaurita durante gli anni di reclusione, ma si morse la lingua e tornò a guardare fuori dal finestrino.
     Stavano attraversando l’Alsazia e la vista delle distese di neve la rilassò un poco.
     Finalmente, la carrozza si fermò di fronte a una costruzione in pietra a tre piani, con il tetto in mattoni rossi. L’insegna sulla porta indicava che si trattava di un albergo per i viaggiatori, che portava il nome di Hotel du Corbeau.
     Charlotte si sistemò il pesante mantello di pelliccia sulle esili spalle e attese che lo sportello della carrozza le venisse aperto dal cocchiere, che l’aiutò a scendere.
     Notò con sorpresa che vi erano due persone ad attenderla. Un giovanotto alto e snello se ne stava ritto, in piedi, di fronte alla carrozza. Il suo viso aveva un qualcosa di familiare ai suoi occhi, che si riempirono di lacrime nel riconoscerlo.
     «Louis Antoine!» esclamò, correndo a gettarsi fra le sue braccia. «Siete proprio voi?»
     Il giovane dai lunghi capelli castani e il viso ovale la strinse brevemente per poi staccarsi e sorriderle impacciato.
     «È un piacere rivedervi, cugina» le disse. Poi si voltò verso l’altra persona che si era tenuta discretamente in disparte.
     Charlotte seguì il suo sguardo e si ritrovò a fissare un paio di occhi grigi, freddi come il ghiaccio.
     Lo sconosciuto si avvicinò cauto. Aveva un passo deciso che le risultò immediatamente odioso. I capelli erano neri e più corti di quanto esigesse la moda. Il viso un po’ spigoloso, ma di una bellezza mozzafiato. Le labbra sottili, invece, erano incurvate in quello che a lei parve un sorriso forzato, di convenienza.
     Il cugino si affrettò a fare le presentazioni: «Questo è Leonardus Van der Valck, un diplomatico olandese.»
     L’uomo dagli occhi di ghiaccio le prese la mano e la baciò. Charlotte fu percorsa da un brivido improvviso, mentre un intenso rossore le colorava le guance pallide. Ritirò la mano, come se si fosse scottata, e distolse immediatamente lo sguardo. Si chiese cosa facesse lì quello sconosciuto e si sentì infastidita dalla sua presenza.
     «Sono molto onorato di fare la vostra conoscenza, madame» disse l’uomo, con una voce bassa e profonda, ma con un tono che sembrava smentire le sue parole.
     Lei gli indirizzò un lieve cenno del capo e si sforzò di sorridere mentre si lasciava condurre dal cugino verso l’entrata dell’albergo.
     «Immagino abbiate bisogno di rifrescarvi e cambiarvi d’abito» fece Louis Antoine, in tono premuroso.
     Lei lanciò un’ultima occhiata alle sue spalle, dove Van der Valck era rimasto a fissarla con un’espressione indecifrabile in quegli occhi grigi.
     «Cosa ci fa qui quell’uomo?» sussurrò, confusa. Il cugino sorrise enigmatico mentre le apriva la porta dell’albergo. «Ne parleremo più tardi» le rispose, affrettando il passo.

     A Charlotte non restò altro da fare che seguirlo.        

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